COSI' CONOBBE IL SUD
Fortunato tra il Vulture, l'Appennino e la Questione meridionale
di Pasquale Tucciariello
Il “pellegrinaggio pedestre” di Giustino Fortunato (Rionero 1848 – Napoli 1932) lungo tutto l'Appennino meridionale ebbe inizio nel 1870 e termine nel 1891.
Fu passione per la montagna, la sua? Si trattava semplicemente di un hobby? Oppure, cominciato probabilmente per le casualità della vita che pure generalmente non mancano, divenne poi una necessità di studio e di ricerca degli aspetti geografici ed umani di un territorio che pochi s'erano dato pena di avvicinare e di conoscere?
Non vogliamo qui scomodare i molti studiosi del Fortunato al solo scopo di chiarire le motivazioni che hanno dato corso al suo ventennio tra la montagna meridionale .
E' certo. Tra una vacanza e un'altra nel corso degli anni dei suoi studi in collegio, poco più che ventenne amava perdersi col fratello Ernesto lungo i colli del Vulture, poi tra le floride valli dell'Ofanto, ed ancora sulle arse Murge, certo per trovare ristoro alle sue lunghe fatiche sui libri di scuola. Ma poi deve averci preso gusto.
Le sue escursioni, non semplici né facili, proseguirono in Abruzzo, in Sila e nel Matese, poi lungo il Vallo di Diano tra la Lucania e la Campania, infine lungo il Pollino e l'Aspromonte, in terra di Calabria. Nel 1891, undici anni dopo la sua elezione alla Camera del Regno d'Italia, all'età di 43 anni aveva camminato a piedi e a dorso di mulo l'intero Appennino meridionale, ne aveva tratto giudizi severi e rigorosamente precisi sulle condizioni di vita delle genti nostre. A ragion veduta era divenuto il più attento e intelligente indagatore delle miserie del Mezzogiorno, intuendone le ragioni. Non c'è miseria senza difetto. E i difetti c'erano: E come. E non solo dovuti all'asprezza del territorio.
Non era divenuto un semplice conoscitore della natura dei posti: Fortunato era diventato un geografo. Avrebbe potuto disegnare quei posti ormai ad occhi chiusi. E solo quelle conoscenze poterono spingere il Nostro a parlare con tanta saggezza del Mezzogiorno e a tentare di correggere il corso della storia. E in parte ci riuscì.
Egli aveva visto, toccato con mano, aveva lungamente parlato con la gente umile, con i contadini che riteneva soggetti di storia, verso i quali sentiva affetto, comprensione e amore quasi paterno di tipo tolstoiano!
Aveva veduto visi invecchiati fuori dal tempo, e rughe profonde solcare le guance non ancora corrose, e constatato che sulle fatiche dei cristiani cadevano implacabili le vessazioni dei ricchi agrari e dei ceti dominanti, e più che sorrisi incontrava smorfie quando le labbra si storcevano per un compiacimento, e visi bui e rugosi, e giovani donne tozze e smagrite deve avere incontrato. In seguito scriverà:
“Bisogna aver vissuto lungamente in Basilicata per conoscere il senso di nostalgia della povertà di colore e del silenzio rattristante di sue terre, e intendere come possano seguire mesi e anni senza mai imbattersi in un viso aperto e giocondo…” .
Quello Stato unitario che non era riuscito a comprendere le reali ragioni del Mezzogiorno perché interessato a scaricare ogni colpa sul vecchio regime – “Cosa non abbiamo detto contro i Borboni?”, dirà in Parlamento - non poteva neanche provare rimorso per un sistema tributario e un regime doganale protezionistico del 1887 mentre i baroni e la borghesia del Sud conservavano intatta la loro inettitudine, e né si sforzavano di guardare il futuro con l'ottimismo che pure attraversava quel tempo storico, e i Sindaci non aprivano le scuole per le fasce più povere. Lo Stato unitario non comprendeva le ragioni del Mezzogiorno.
Alla scadenza del primo mandato parlamentare, nel 1891, il deputato rionerese aveva manifestato più volte la volontà di tornarsene a casa. Troppe ne aveva viste. Dovette desistere dal suo proposito:
“Ho tentato l'impossibile per andare via dalla Camera, non potendone letteralmente più. Ma non m'è riuscito mettere d'accordo gli elettori sul nome del successore, e ho dovuto piegare alla necessità “.
E dello Stato unitario in quegli stessi anni scriveva: “Ah! L'Italia ufficiale ignora le terribili angustie dell'Italia meridionale. Io, ormai, non fo più questione di Ministeri. Finché l'indirizzo della politica generale non sarà mutato, io voterò contro il Governo d'Italia”.
Fortunato non voterà neanche la legge speciale per la Basilicata del 1904, ritenendola carente ed insufficiente a correggere lo scarto tra le “due Italie”. Il viaggio di Zanardelli in Basilicata e a Rionero di qualche anno prima aveva certo ottenuto l'effetto di una consapevolezza e di un intervento. Come dire, tanto tuonò che piovve. Però, ancora troppo poco, se la pioggia arriva dopo un lungo periodo di arsura.
Nel 1909 Fortunato lascerà la Camera, non ripresenterà più la sua candidatura, Nominato senatore a vita, inizierà una fecondissima attività intellettuale in chiave meridionalistica. Lui, un senza partito, allaccerà rapporti di fraterna amicizia con altri intellettuali, dentro e fuori dei partiti.
Forse e senza forse, le intuizioni e le premesse per la rinascita del Mezzogiorno dovettero prendere avvio dalle prime escursioni lungo i sette colli del Vulture e successivamente lungo tutto l'Appennino meridionale. I nostri paesi hanno dato molto a Giustino Fortunato. E lui a noi.
A Rionero è ancora leggibile una epigrafe su una stele voluta da Enzo Cervellino nel parco Fortunato:
Elevò la politica alla vetta dell'ideale creando le premesse per la rinascita del Mezzogiorno. |