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31/12/2020
IL MEDITERRANEO E L’ITALIA |
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Fabio Polettini |
Si è da pochi giorni conclusa a Roma la conferenza sul Mediterraneo, nella sua sesta edizione, promossa da Ministero degli esteri e dall’ISPI.
Numerosi e cruciali i temi trattati. Fra di essi: la sicurezza, l’immigrazione, l’energia, l’economia verde, il ruolo dell’Europa.
Il posizionamento del nostro Stato nella parte occidentale del mare Mediterraneo da sempre lo pone al centro degli snodi e dei corridoi mercantili, viari, energetici e di sicurezza fra Africa, continente europeo, Medio Oriente, e, verso est, Balcani, penisola anatolica e terre del Caucaso.
Sino alla fine della guerra fredda l’Italia era principalmente vista come antemurale verso la possibile minaccia terrestre proveniente dal patto di Varsavia attraverso la soglia giuliana e, come, soggetto di supporto alla VI flotta americana, nei confronti del naviglio russo acquartierato nel Mar Nero, ristretto, però, in un bacino saldamente “sigillato” dai Dardanelli in una Turchia fermamente inserita nel dispositivo della Nato.
In altre parole, prima di irrompere nel mare nostrum, in caso di crisi bellica e, pur considerando gli approdi sicuri della Siria, i sovietici avrebbero dovuto vedersela con una prima barriera naturale molto munita negli stessi stretti turchi; solo dopo averla valicata si sarebbero confrontati col naviglio della Nato, italiano compreso.
In questo quadro, la supremazia talassocratica degli Stati Uniti, secondo i tutt’ora insuperati principii insegnati da Alfred Thayer Mahan (autore del celebre trattato sul Potere navale, The influence of the sea power upon history 1660-1783, secondo il quale il potere marittimo è caratterizzato dalla quota di commercio internazionale detenuta, dalla disponibilità di una grande flotta commerciale e militare e da una vasta rete di approdi presso terzi stati in rapporto di affari), era in grado di spegnere ogni rivalità rivierasca dei paesi che si affacciano sullo specchio acquatico di casa nostra e di consentire la libera navigazione sotto la protezione della bandiera a stelle e strisce.
Dal 2012, però, le cose sono andate mutando in modo davvero significativo.
Numerosi sono stati i fattori che vi hanno contribuito, rimescolando i rapporti di forza geopolitici e geoeconomici e facendo riemergere la centralità di questo mare in cui noi siamo pienamente immersi con quasi 7.500 km di costa e due isole rilevantissime come la Sicilia e, Pantelleria, collocate in posizione chiave nel canale di Sicilia. Quadro, questo, che era stato per lungo tempo marginalizzato, a favore di una visione quasi esclusivamente terragna che considerava l’Italia soltanto come un’appendice dello zoccolo continentale collocato a nord delle Alpi.
Complice, in questa falsa prospettiva, da un lato, l’esigenza di presidiare la porta di Gorizia negli anni del confronto con l’Urss; dall’altro, una visione quasi esclusivamente economicistica concernente i rapporti commerciali e industriali che ci legano alle economie d’Oltralpe (ma, da sempre, la strategia di una nazione non può mai prescindere dalla posizione geografica in cui si viene a trovare, pena il fallimento di essa, la perdita della propria autonomia, la rovina del benessere dei suoi cives. Per una trattazione sulle implicazioni geografiche si veda Jean, Guerra, strategia e sicurezza, pag. 129 e ss., Laterza, 1997. “La geopolitica classica si fonda sui due presupposti di base della scuola realista: l’anarchia internazionale e il primato della politica estera. Il primo rimanda all’idea che i rapporti internazionali siano dominati da una conflittualità intrinseca allo stesso concetto di politica e di sovranità degli Stati, assoluta almeno sotto il profilo formale. Il secondo postula che lo stesso ordinamento e la politica estera dello Stato siano organizzati sulla base dei suoi imperativi di sicurezza, del suo senso dello spazio, della sua collocazione geografica e delle esigenze della sua economia e demografia…” Jean, Geopolitica del mondo contemporaneo, pag.4, Laterza, 2012).
In estrema sintesi, elementi causativi del nuovo disequilibrio sono stati: 1) la detronizzazione di Gheddafi (non seguita da una doverosa politica di ricostruzione dello Stato libico) che ha dato la stura alla piena competizione delle fazioni interne, supportate da altri Stati interessati alle ricche risorse energetiche contenute nel sottosuolo, ma anche a precostituirsi influenza rilevante in una posizione avanzata nella parte occidentale del mare sia nei confronti della profondità africana (area in cui sono concentrate risorse naturali cruciali, ma anche zona in crescita economica), che verso l’Europa del sud, 2) il progressivo sganciamento degli Usa, riorientati verso la competizione economica, militare e geopolitica con la Cina (decisa circa 10 anni fa dall’amministrazione Obama e ben resocontata anche nel volume di E. Luttwak, Il risveglio del drago, Rizzoli, 2012 ), con correlativa perdita di peso navale nello scacchiere, 3) l’incremento ingente delle merci cinesi vendute alla UE e transitanti per il raddoppiato canale di Suez provenienti dall’oceano indiano- mar cinese meridionale (la Germania è il primo partner commerciale dell’ex celeste impero. Dopo la crisi dell’economica del 2008-2010 Berlino ha rivolto le proprie esportazioni verso l’Asia, compensando la perdita delle vendite nei mercati europei), 4) la questione siriana, con l’accresciutissimo ruolo turco, proiettato verso le antiche direttrici ottomane dell’interno siriaco, della Libia (vecchia colonia strappata da noi con la guerra italo turca del 1911 e 1912), dei Balcani e del Caucaso (ne è chiara dimostrazione l’attuale conflitto per il Nagorno Karabakh, ai confini dell’Azerbaijan, ricchissimo di gas e petrolio e da cui si diparte il gasdotto TAP che approda in Puglia per rifornirci), 5) i giacimenti di gas naturale scoperti al largo dell’Egitto (giacimento Zhor, in cui il nostro Eni gioca un ruolo preponderante) e di Israele, Libano, ANP, Cipro, Grecia, destinati a rendere autosufficienti per molti anni il primo ed il secondo di questi stati ed a convogliare ulteriormente, mediante il gasdotto “Eastmed”, la materia prima (il gas) all’Italia, attraverso Cipro e la Grecia (quest’anno è stato creato il forum diplomatico per la gestione di queste preziose risorse fra Italia, Grecia, Cipro, Israele, ANP e Giordania), condotta in concorrenza col progetto turco-russo “Turkstream”(che congiunge la Russia alla Turchia e, tramite quest’ultima, alla Bulgaria e alla Serbia).
Per poter comprendere l’importanza di una visione strategica nazionale (da definire con certezza sin da subito, essendo imperativo diplomatico ineludibile per potere mantenere il proprio benessere e la propria indipendenza politica democratica) nel quadro dei nuovi assetti occorre, dopo avere dato un’occhiata alla carta geografica, avere presente che cosa rappresenti per noi il commercio marittimo ed il sistema infrastrutturale dei porti italiani.
L’economia del mare si compone di fattori manifatturieri (fra di essi spicca la cantieristica), logistici (anche di stoccaggio) e del terziario avanzato. In altre parole, il segmento industriale delle grandi imprese, delle piccole e medie appare strettamente collegato ai servizi ancillari necessari per potere veicolare via nave la produzione nazionale destinata all’esportazione.
Privo di molte risorse naturali (eccezion fatta per una quota minoritaria di idrocarburi) il nostro Paese si mostra come operatore nella trasformazione, a cui spetta la lavorazione di materie prime e semilavorati in moltissimi settori (dalla chimica, all’automobile, al tessile, all’agroalimentare, alla farmaceutica, all’aerospazio, al comparto digitale e medico), ma anche come poderoso importatore di carbone, petrolio, gas, metalli e minerali.
Il vettore marittimo del trasporto via nave costituisce il mezzo principale per la movimentazione delle merci con l’estero, superiore a quello stradale e ferroviario (del resto, la capacità di carico delle moderne navi porta containers è enormemente superiore a quella di un pure attrezzato treno cargo. Si parla di imbarcazioni da quasi 24.000 Teu. Il Teu è la misura standard del volume del container).
Il sistema dei porti attrezzati garantisce (collegato con strade e ferrovie) la necessaria rete nodale per esportare ed importare; da qui la particolare attenzione che deve esservi riposta dall’Autorità di Governo sia per il suo efficientamento, che per il suo controllo-vigilanza.
Al momento, i primi porti per volume di transito risultano essere, nell’ordine, quello di Trieste (che gode di particolari agevolazioni in materia di extraterritorialità doganale. Ricordiamo anche che questo vanta fondali particolarmente profondi in grado di accogliere in rada le navi da carico di ultima generazione, determinandone la competitività rispetto ad infrastrutture che non hanno queste caratteristiche), di fondazione antica per volontà asburgica (nel 1700), quello di Genova, quello di Livorno e, ultimo, quello di Gioia Tauro (dobbiamo aggiungere quello di Taranto per la presenza della fondamentale base militare della nostra Marina).
Le cinque regioni a maggiore vocazione produttiva ed internazionale (anche la Puglia, sta, però, crescendo vieppiù negli ultimi anni), vale a dire Piemonte, Lombardia, Veneto, Emilia-Romagna, Friuli Venezia Giulia, hanno nel sistema portuale ligure (Genova- Vado Ligure) il loro attuale centro principale di esportazione.
Via mare transitano, infatti, il 57% delle nostre importazioni ed il 44% del nostro export.
A seguito dell’interscambio crescente fra UE e Cina e del raddoppio della capacità di navigazione del canale di Suez, il Mediterraneo ha visto riprendere la sua centralità economica, dal momento che le navi cariche di prodotti asiatici, partendo dal Mar giallo, transitando per il Pacifico e l’oceano indiano, attraversano il Mar Rosso-Suez e sboccano a Porto Said. Da qui raggiungono in alto Adriatico Trieste o Genova e possono essere trasportate sia verso i mercati europei occidentali, che centrali e nordici.
La via acquatica, infatti, rappresenta il secondo braccio (il primo è quello terrestre) del sistema delle nuove “vie della seta” (cui l’Italia ha formalmente aderito nel Marzo del 2019, con notevole disagio degli Usa, preoccupati di cambiamenti di fronte rispetto all’alleanza che data da oltre 70 anni) per volume di transito, che fanno capo, nel mare Nostrum, nel porto del Pireo, ristrutturato e gestito dalla compagnia cinese Cosco.
Ultimamente, l’interesse straniero si è andato molto accentrando sullo scalo di Trieste (luogo di sbarco ed imbarco di merci da e per l’Asia-Cina mediante la porta egiziana di Suez), dove, la società pubblica tedesca Hamburger Hafen und Logistik AG (HHLA), che gestisce il porto di Amburgo (uno dei terminal più importanti e grandi del mondo) si è aggiudicata la commessa di un grande investimento per il suo raddoppio, battendo la concorrenza cinese di China Merchants.
Nel porto ex austriaco (balzato agli onori della cronaca americana meno di un anno fa – il 18 Marzo 2019- grazie ad un articolo di Jason Horowitz sul New York Times dal preoccupato titolo “A forgotten italian Port could become a chinese gateway to Europe”. La città giuliana è anche vicina e collegata alle basi americane di Aviano e Vicenza, dunque imprescindibile snodo logistico per il dispositivo della Nato) le petroliere già ora recano greggio destinato, con un oleodotto (Il TAL), a rifornire la Germania (e le sue raffinerie di Baviera e Baden-Wurttemberg) per oltre un terzo del suo fabbisogno nazionale.
A questo si aggiungerebbero le future navi giganti per lo sbarco dei prodotti dall’Asia e diretti ai ricchi mercati europei del Nord e centrali mediante le autostrade e le linee ferroviarie tedesche ed austriache.
Ma i mari (Mediterraneo ed Adriatico compresi) oggi sono fondamentali anche per i lunghissimi cavi internet sottomarini che collegano fra loro i continenti ed attraverso i quali corrono una miriade di informazioni sensibili. Poterne garantire la sicurezza dalle intrusioni è, ovviamente, un imperativo aziendale e di difesa anche del nostro Stato.
Il nostro bacino marino è diventato un quadrante di nuovo strategico perché consente alle flotte commerciali e militari il raggiungimento dell’oceano Atlantico attraverso Gibilterra e dell’oceano Indiano-Pacifico (oggi terreno di scontro geopolitico di eccellenza fra Cina, India, Usa ed suoi alleati) attraverso il canale di Suez.
In più, la scoperta dei giacimenti di idrocarburi e la nuova proiezione turca nell’Egeo, nei Balcani, in Siria ed in Libia, in estensione degli interessi di Ankara (cui ha fatto da contraltare l’aumento della presenza russa a Tartus, Humaymin ed in Cirenaica, per garantirsi l’accesso al Mar Rosso, al Golfo Persico ed all’oceano Indiano), unitamente all’ingresso (per la prima volta) di naviglio militare della Repubblica popolare cinese nel mar caldo, impongono all’Italia una definizione rapida del proprio interesse nazionale (nel quadro di una chiara pianificazione della propria dottrina navale) che si è incominciata a declinare, sia pure con grande ritardo rispetto agli Stati che si affacciano sul Mediterraneo (l’Algeria, la Grecia, la Turchia, l’Egitto le hanno già definite ed in molti casi sino in prossimità delle acque italiane) mediante la istituzione delle nostre ZEE (zone economiche esclusive, previste dalla Convenzione sul diritto del Mare di Montego Bay del 10 dicembre 1982, ratificata dall’Italia con legge n. 689/1994 e che possono estendersi non oltre le 200 miglia dalle linee di base da cui è misurato il bacino del mare territoriale ed entro le quali lo Stato costiero esercita il controllo e lo sfruttamento delle risorse naturali, biologiche, minerali, potendo adoperarsi per la creazione di installazioni ed infrastrutture anche di ricerca scientifica, pur in regime di libera navigazione, di sorvolo e di posa di cavi sottomarini).
Considerando che oggi la politica di sicurezza è divenuta funzionale al servizio del sistema economico globalizzato (Cfr. Jean, Manuale di studi strategici, Franco Angeli, pag. 308) e che, come ci insegna recentemente il teorico dello “smart power” americano J.S. Nye (autore del famoso saggio omonimo, edito da Laterza per l’Italia, pag.259), obiettivo degli Usa è quello di “scongiurare l’emergere di potenze egemoni ostili in Asia o in Europa”, mantenendo l’equilibrio di potenza ( anche per ribilanciare la propria più decisa azione in Asia), Roma dovrà presto fare delle scelte e negoziare la propria posizione concentrandosi soprattutto sul quadrante marittimo in cui, per geografia, economia e storia, si trova immerso in una posizione ridiventata cruciale per i nuovi assetti del dopo guerra fredda e, conseguentemente, avendo della carte da giocare in più rispetto ai nuovi e vecchi protagonisti dell’antico mare latino.
Fabio Polettini
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