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Intervista a NATALINO FRIJIA - a cura di angela de nicola

 

 

SENTIERI DEL JAZZ,
PAROLE DI JAZZ
CON NATALINO FRIJIA

 

intervista a cura di Angela De Nicola

 

 

 

Fin dal momento in cui mi è stato proposto di realizzare un’intervista al sassofonista e musicologo Natalino Frijia, non avevo pensato ad altro se non al sentiero mai del tutto esplorato e coloristicamente del tutto imprevedibile del Jazz. Jazz tout-court, Jazz punto e basta, Jazz punto e a capo. Quella sorprendente alchimia musicale che con le sue mille sfaccettature trova sempre annesse nuove vie di realizzazione e di espressione. Ma tant’è; e fin dai primi attimi l’incontro col maestro è stato segnato dalla piacevole sorpresa di una scoperta. E così, quella tesi di laurea che ha meritato la lode presso l’Accademia di Santa Cecilia e che porta il titolo di “Jazz e Musica di tradizione orale: appunti per uno studio comparato” ha fatto in modo che la nostra piacevole “chiacchierata musicale” dello scorso 4 Novembre prendesse una piega che non solo e non semplicemente è da considerarsi “annessa al Jazz” ma che del Jazz può esserne al tempo stesso radice, conseguenza e ampliamento, ovvero la Musica Etnica o che dir si voglia “Popolare”. Natalino Frijia, dunque, non è certo uno sconosciuto nel circuito della nuova via dell’”Etnojazz romano”, se può passare in tal sede il termine per quella che apparirebbe senz’altro una nuova strada o “nuova possibilità” della musica che da elemento vivo quale è, non può non mostrarsi per forza di cose “elemento in fieri”, elemento in divenire. Piacevolmente sorprendente l’ascolto di alcuni brani che presentano Natalino Frijia all’orecchio del suo pubblico e che si sono piacevolmente plasmati davanti ai miei occhi come un invito aperto alle sonorità tipiche del viaggio, alle visioni inesauribili dei vari “Sud del mondo”, a velati notturni balcanici; modulazioni e timbri che sottendono un lungo studio unito al tempo stesso all’amore per il trasporto artistico dove i classici “tempi spezzati” dell’improvvisazione uniscono sorprendentemente l’antica sapienza italica della Tammuriata al gusto del miglior Swing, velluti fluttuanti di aerofoni dietro impalcature di pentagramma che oscillano tra il gusto mitteleuropeo ed il preciso richiamo americano. Ma resta comunque un dato di fatto e gli inizi del maestro Frijia non tradiscono né ulteriori indizi da cercare né sorprese aggiuntive: la sua formazione musicale inizia infatti presso la Scuola di Musica Popolare di Testaccio, dove dal 1984 studia sassofono con Roberto Mancini, frequentando contemporaneamente i laboratori di Giovanna Marini con cui ha il piacere di esibirsi in molteplici occasioni. L’alternanza con le vie del Jazz più classico è complemento fondamentale e costante del suo ampio curriculum, come testimoniano le varie Masterclasses nell’ambito di manifestazioni-simbolo dell’Italia del Jazz come Siena Jazz, Roccella Jazz e Tuscia in Jazz. Docente di ruolo presso vari istituti superiori della capitale, è stato socio fondatore dell’Associazione Culturale “Musicanti di Brema” con cui ha collaborato sempre in qualità di insegnante di sassofono per poi passare dal 2011 all’insegnamento di questo stesso strumento presso la scuola di musica “Ponte Linari”. Dal 2007 al 2011 ha fatto parte dell’interessante gruppo “folk”: “Le Tarantole” collaborando con artisti del calibro di Ambrogio Sparagna e di cui una delle successive e più piacevoli testimonianze resta senza dubbio il Cd “Festaranta”(R&B Recording Studio) un lavoro prezioso che personalizza, assorbe, rilegge e rende proprie melodie e testi senza tempo inframmezzandoli a sorprendenti inediti, lavoro che non è tra l’altro la sola traccia musicale rinvenibile del sassofono di Natalino Frijia se si pensa ad esempio alla collaborazione con Pasqualino Ubaldini nel Cd “Mosaique” (Jamendo Music) titolo di testa di un interessante progetto con Ubaldini che da quella stessa incisione prende spunto e vigore; incontri di arte e di vita che hanno portato in giro per la capitale (e non solo) una musica certamente nuova, di ampio respiro, di colorate possibilità, di potenziali iconici e plasticamente espressivi, musica che ha visto volti e nomi nuovi ma non meno interessanti come quelli di Frijia e compagni sui cartelloni di “templi sacri” come l’Auditorium Parco della Musica, la Sala Accademica del Conservatorio di Santa Cecilia, l’Alpheus, il Cube o il Circolo degli Artisti di Roma. L’intervista che segue, sia in forma scritta che in contenuto audio e che Natalino Frijia ha voluto gentilmente concedermi per conto del Centro Studi Leone XIII, è stata senza dubbio per me motivo ed occasione di approfondimento serio e sensato sulla grande, certo non nuova eppure sempre sorprendente ed indubbiamente poco considerata o poco esplorata possibilità che il Jazz “dia qualcosa in più” alla musica popolare così come, viceversa, la Musica Popolare dia “qualcosa in più” al Jazz. Perché infondo altro non si tratta se non di vasi comunicanti la cui osmosi sarebbe di certo sempre più augurabile ed auspicabile. Perché separare? Inutili catalogazioni, o quasi. Natalino Frijia, persona di cui ho potuto constatare “de visu” l’enorme spessore culturale, non essendo affatto un musicista che ama la settorialità e non parteggiando per nessun tipo di filologia o “archeologia” musicale, è fra i più lucidi ed emblematici esempi atti a dimostrare che l’Etnojazz non è oggi soltanto un’etichetta (o sottoetichetta) di comodo, una catalogazione sbrigativa, ma può essere senz’altro la via per una nuova forma di “evoluzione musicale” basata sui codici dell’improvvisazione e dell’ interplay, un nuovo esperanto espressivo che segua il flusso energetico proveniente contemporaneamente dai codici “alti” delle accademie così come da quelli più “bassi” del sentire musicale. Sentieri del Jazz, sentieri nuovi. E parole di Jazz. Parole nuove. Che insegnano quante strade aperte in musica, chi cerca ed esplora, può trovare. Per suonare. Per ascoltare. E per poi discorrere e narrare.

 

     

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