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La Buona Scuola va!
di Alfredo Bocchetti
Tutta colpa dell’idraulico. Non ho mai preso sul serio il concetto secondo cui la scuola sia o debba essere l’unica agenzia educativa e formativa in una società a partecipazione democratica, aperta e dinamica. Né la scuola pubblica può pretendere di porsi unica istituzione formativa, anche perché vi sono scelte educative e formative stabilite da minoranze impegnate, da ideologie mascherate, da psicopedagogisti, o presunti tali, tesi a voler imporre modelli in verità poco riconoscibili che non riesci a farli tuoi, impossibili da poterne avere comprensione, rendertene competente, tradurli nella pratica quotidiana. Eppure c’è una minoranza chiassosa che ha la pretesa di imporre la scuola pubblica come unica istituzione riconosciuta e valida, come si dice, a tutti gli effetti di legge. E per farne cosa, per realizzare quali disegni, quali sono i progetti, quale tipo di persona vogliono formare? E poi, perché gruppi di pressione intendono formare un popolo in un’unica direzione e comunque in assenza di modelli precisi cui fare riferimento tali da poterli indicare per poterne avere contezza? Sono o non sono quelle minoranze chiassose figlie di ideologie che la storia ha seppellito come dannose alla libertà della persona, che oggi si ripropongono in forma e formazioni politiche diverse, giacobini esaltati e settari che con fragore di girotondi e di tamburi intendono imporre a larghi settori sociali abbastanza dormienti modelli inesistenti? Mai che uno ti dica: prendiamo a modello la scuola, per esempio, finlandese, traduciamola in territorio italiano per un decennio, in itinere facciamo piccoli aggiustamenti che si renderanno necessari. Mai.
Perché cito proprio la scuola finlandese? Ma perché quel sistema formativo è riconosciuto tra i migliori – se non il migliore in assoluto – che dà garanzia di farsi vedere, leggere, capire e comprendere. Lo studi ed è tuo, puoi tradurlo, puoi renderlo efficace. E’ riconoscibile. Puoi farne continui esperimenti. Cosa fanno i finlandesi? Provano a definire percorsi interdisciplinari, gli argomenti sfuggono agli odiosi compartimenti stagni privilegiati dalla scuola di regime (la scuola italiana), creano percorsi incursioni contatti tra le stesse materie. Qualcuno ora obietterà: ma la scuola finlandese è interamente scuola pubblica, non ci sono scuole private, i figli di medici e di avvocati siedono accanto a figli di operai e di commesse. Questo è vero. Ma la scuola finlandese non è scuola di regime, quella italiana sì. Allora, prima di adottare quella scuola dobbiamo rivedere parecchie cose, a cominciare dai privilegi dei docenti, di noi docenti. Certo, siamo dei privilegiati. Sottopagati ma privilegiati. Se non allunghi le mani su alunni ed alunne, dalla scuola non ti caccia nessuno. Hai voglia tu a protestare, lettere che vanno e lettere che vengono di alunni e di genitori. Quel docente che non va, non lo mandi via neanche a cannonate.
Si dice: proviamo a riformare la scuola italiana. Ma allora la scuola italiana proprio non va se v’è necessità di sottoporla a riforma, cioè a darle una forma diversa da quella che è. E qual è la forma di questo sistema formativo? Un tempo si diceva: è scuola gentiliana, una forma di scuola abbastanza definita, nata nel 1923 (un secolo fa) ad opera di un tale di nome Gentile, filosofo (di pregio), quando il capo del governo italiano era un tal altro di nome Mussolini, capo del partito fascista. Ma poi, ucciso Giovanni Gentile da mani comuniste il 15 aprile 1944 a Firenze (questa notizia fino a qualche anno fa non era mai apparsa nei manuali di storia in uso nel regime), la scuola dell’Italia repubblicana, definita in ambito costituzionale di tipo antifascista ed antiautoritario, si è posta come rottura di ogni legame col fascismo. Bisognava dunque rompere, tagliarne i legami, distruggere ogni forma di cultura e di sapere che facesse riferimento alla scuola gentiliana (fortuna non ci sono riusciti col liceo classico) smantellando ove possibile anche i simboli storici. E questo è orientamento costante, continuo. Si vuole fare altro e non si va al nocciolo della questione. O almeno alle due questioni fondamentali: 1) Questa scuola di regime non ha una forma riconoscibile, non ha una filosofia che le faccia da sfondo, non trova una sua unità ed una sua armonia; 2) Se questo sistema formativo proprio non va la colpa non è riconducibile a programmi o a qualche ora in più di una disciplina sottratta a qualcun’altra, ma dei docenti, di noi docenti. I nostri ragazzi, in genere non conoscono la matematica e la fisica e la chimica non perché i programmi di insegnamento abbiano carenze formative, ma perché i professori conoscono malissimo la disciplina che invece dovrebbero padroneggiare.
Mandiamo a ripetizione i ragazzi e non mandiamo a ripetizione gli insegnanti. Tu vuoi che un alunno abbia un atteggiamento scientifico? Tienilo in laboratorio dove avvengono gli esperimenti, dove si riproducono i fenomeni che puoi rendere reversibili. E i laboratori nelle nostre scuole ci sono, ci sono sempre stati e sono tenuti generalmente e sistematicamente chiusi, attrezzature nuovissime tenute in vetrina sotto chiave. E’ come guardare il libro di un alunno: se è nuovissimo, non è stato mai toccato; se è rovinato e sgualcito significa che ci hai lavorato sopra (scriveva il Croce che il libro va arato). In altra sede mi soffermerò su questi due aspetti che ritengo fondamentali, cioè la forma del sistema formativo e il lavoro dei docenti che la devono interpretare. Mi preme ora riflettere su questa ricerca di Bocchetti “La buona scuola va” (Armando ed.), un progetto di riforma della scuola contenuto in una legge, la n. 107 del 2015, osteggiata ed ostacolata dalla stragrande maggioranza dei docenti. Il disegno centrale che sostiene questa legge si può riassumere fondamentalmente nella necessità del Legislatore di fare innovazione e cambiamenti. Cioè si comincia a far capire, ma molto lontanamente però, che dobbiamo cambiare principalmente noi docenti. E qui si scatena il putiferio. Che condurrà sicuramente il suo artefice alla rovina. Sarà inevitabile. Il merito principale di Bocchetti in questa sua ricerca? L’uscita dal coro. Un coro che non ha corifeo, coro informe e senz’anima che conserva tradizioni confuse e mai completamente definite, privilegi tipici di soggetti destinati ad essere intoccabili. “La buona scuola” voluta dal presidente Renzi (tranquilli, non sono un suo elettore) sembra voglia fare cambiamenti ed innovazioni che comunque non ritengo particolarmente significativi. Ma qualcosa c’è, c’è volontà di cambiamento. Come te ne accorgi? Dalle agitazioni, dalle ribellioni. Di chi? Dei docenti. Cosa lamentano i docenti? Mancato rispetto dei lavoratori della scuola, discriminazioni tra i docenti, mobilità dei docenti, divari retributivi, controllo del lavoro, limitazione della libertà di insegnamento, conflittualità tra docenti, alternanza scuola-lavoro, finanziamento della scuola da parte di aziende ed imprese economiche, distribuzione ineguale di risorse, legge autoritaria, potere nelle mani del dirigente scolastico, contrattazione mancata. Vedete, c’è un conflitto di interessi. C’è una categoria – gli insegnanti – che hanno la pretesa di imporre una legge per se stessi medesimi senza prevedere un organismo di controllo. Ma ciò che più è raccapricciante è che noi docenti non ci chiediamo perché nella scuola dell’obbligo la matematica è la materia più odiata. Il Rapporto OCSE-Pisa registra che l’Italia è al 35° posto nella classifica dei paesi con studenti più bravi nelle materie scientifiche. I paesi più virtuosi sono: Cina, Singapore. Lì ci sono i ragazzi più bravi nelle materie scientifiche, i nostri sono i peggiori. Nel suo libro Bocchetti, tra l’altro, fa un’analisi delle critiche e delle osservazioni dei sindacati-scuola. Ne individua ben tredici, che sottopone ad analisi. E le contesta, e avverte: il problema-cuore è la formazione dei docenti. Perciò Bocchetti esce dal coro e sollecita a modificare “visioni culturali, logiche di lavoro e strategie di azione”. Possiamo ora dirla tutta? Se in una classe buona parte degli alunni ha necessità di lezioni private, a chi il compito di controllare come viene svolto il lavoro scolastico in quella disciplina? Ai collegi, ai consigli, ai girotondi, ai rulli dei tamburi, alle ballate nelle piazze? Bene. Se il tavolo ha una gamba più lunga la colpa sarà dell’idraulico. Non ci resta che tenerci minoranze chiassose, menti con scarsi profili tecnico-scientifici e guardare i nostri ragazzi scendere sempre più in basso nelle classifiche. Tutta colpa dell’idraulico.
Gennaio 2018
Pasquale Tucciariello