Libri
- Proverbi, detti e sentenze -
Una Bibbia laica tramandata in dialetto
Presentazione libro proverbi, Giuseppe Biscione, Proverbi detti e sentenze, una Bibbia tramandata in dialetto, Giugno 2018, Potenza, Museo Provinciale, sabato 30 giugno 2018 ore 17,30.
Oggi battezziamo questo libro. “Proverbi, detti e sentenze: una Bibbia laica tramandata in dialetto”, di Giuseppe Biscione, Centro Grafico, Anzi, Giugno 2018.
Mi ha chiamato una decina di giorni fa il caro amico, illustre amico Ivan Russo, mi ha detto più o meno così: Guarda, c’è da presentare un libro a Potenza, si parla di dialetto e di proverbi di Cancellara, tu ci devi essere perché questa è materia tua e poi perché così voglio io. E poiché devo venire a Rionero tra qualche giorno per quel nostro impegno culturale, ti porto il libro.
Appena il tempo per chiedergli se si trattasse di roba seria (mi ha risposto “guarda che la presentazione porta la mia firma”) poi la telefonata si è interrotta, una telefonata sbrigativa che non mi ha lasciato il tempo per un eventuale quanto garbato rifiuto. Gli avrei risposto “Se porta la tua firma il libro è roba seria, ma non è serio dire che questa è materia mia perché così non è”. Poi il libro è arrivato a Rionero proprio mentre davamo inizio al nostro convegno. A conclusione avvenuta si era fatto tardi, un saluto frettoloso, la sua indicazione col dito indice quasi intimidatorio “Guarda che il libro sta lì, lo presentiamo il 30 a Potenza al Museo Provinciale”, siamo andati tutti via, ho preso le mie cose che erano sul tavolo dal quale coordinavo i lavori, ho messo le mie cose in macchina e lì sono rimaste per qualche giorno. Era il giorno 18 giugno. Lo ricordo bene perché quel giorno era l’anniversario della morte di Carmine Crocco, il ribelle rionerese, e veniva presentata la sua autobiografia ripubblicata da poco. Tra i relatori, Ivan Russo.
Poi non ho saputo più nulla. Alcuni giorni fa ho avuto una conferma, poi la certezza in una mail, l’invito. Ho preso il libro che era rimasto lì con le altre carte, l’ho girato e rigirato tra le mani. Comincio ad entrare nel libro, a partire dalla presentazione di Ivan. Presentazione? Dotta presentazione, da leggere e rileggere se davvero hai intenzione di comprenderla, soprattutto da chi, come me, poco sa delle tradizioni popolari, dei proverbi e delle sentenze. Certo, la letteratura, la storia, la filosofia mi hanno messo a contatto con una sezione specifica, la paremiologia, che entra prepotentemente e con tutta la sua portata empatica nelle vicende umane, storiche e filosofiche, tali da condizionarne addirittura gli esiti. Ma di qui a dire che è materia mia, ne corre. Comunque sia, entrato nel libro, mi sono accorto che qui c’è poco da scherzare. Ho dovuto ultimare frettolosamente ciò che era più urgente portare a soluzione, ho rinviato ciò che si poteva rinviare.
Questa poderosa opera dell’ingegno del prof. Giuseppe Biscione contiene tutto. C’è l’avvertenza di Ivan: non è una semplice raccolta di proverbi, è ben di più (…) E’ ontologicamente complessa… i proverbi diventano strumenti per far acquisire a tutti concetti complicati e difficili, attraverso le massime il colto riesce a parlare col popolo. Poi Ivan suggerisce anche come leggere l’opera (almeno a me è parso così): leggetela a piccoli sorsi, non correte fino alla fine subito come se voleste liquidarla perché quest’opera non te la bevi facilmente. Sennò, che Bibbia sarebbe! La Bibbia è roba per tutti, ma è roba complicata. E quest’opera del prof. Biscione è così complessa che lui ha preferito non solo tradurre il proverbio. La parlata cancellarese è tradotta e spiegata in lingua italiana. Spiegata? Di più: ermeneutica come teoria generale delle regole interpretative.
Facciamo un esempio. Platone racconta che Talete, filosofo astronomo e tanto altro ancora della Grecia antica, mentre camminava tranquillamente osservando il cielo, fosse caduto in un pozzo e che a soccorrerlo fosse intervenuta nientedimeno che una servetta della Tracia, popolo indicato analfabeta e ignorante. Come dire, l’intellettuale si perde a guardare in alto e non si accorge che gli manca la terra sotto i piedi. Facciamo ora avvicinare il fatto da altra metodologia interpretativa, che va ancora oltre l’interpretazione, l’ermeneutica, e scopriamo (operazione fatta da Georg Gadamer) che “Talete non cadde nel pozzo, ma si calò in un pozzo asciutto, perché questo era il cannocchiale degli antichi. Grazie infatti alla schermatura offerta dalle pareti della cavità, si può registrare con grande precisione l’orbita delle stelle così inquadrate, riuscendo inoltre a vedere molto più che a occhio nudo: una sorta di vero e proprio cannocchiale greco. Quindi non siamo affatto di fronte a uno sbadato che cade in una buca. La verità è un’altra, e in realtà questo aneddoto rende onore all’audacia del pensiero, costretto prima a servirsi di uno scomodo azzardo, come quello di calarsi in un pozzo, e poi a rimettersi all’aiuto di qualcun altro per uscirne. Audacia teoretica e passione per il sapere vengono espresse in questo aneddoto quasi con la stessa efficacia con cui esso comunica anche il desiderio della tarda antichità di farsi beffe della stravaganza dei sapienti”.
Cosa scrive il prof. Biscione: “A chi tine càpe, non mànga u cappidd”. E’ chiaro che il cappello serve a coprire la testa. Però. E noi conosciamo il significato del però (sì, però). Quando qualcuno mi risponde così, io giro i tacchi, mi scuso e me ne vado. E’ un imbroglio. Quel sì invece è no, perché quel ‘però’ capovolge le situazioni. Col però tutto comincia, la storia è capovolta. Piace la storia capovolta, ci ragioni e magari l’approvi. Non piace esser presi in giro, questo no. Tu con garbo, saluti e vai via. Per Pinuccio, quel cappello – e lo scrive – “è indossato dai signori, dai benestanti, dai don, al contrario della coppola che copre la testa dei cafoni… la parola cape, testa, assume il senso di intelligenza, capacità, bravura, doti necessarie per distinguersi, riscuotere successo, perciò meritare di portare il cappello in testa.
Si dice: nel proverbio c’è saggezza popolare. Non sempre, non è sempre così, ma molto spesso lo è. Il proverbio sul lavoro, pag. 97 (lo volgo in italiano per guadagnare tempo) “Se vuoi vivere nel mondo onorato/ fai tutti i mestieri che Dio ha creato”, non è solo saggezza, è scienza. Vedete, le discipline psicopedagogiche piuttosto recenti, già una sessantina di anni fa individuavano nella capacità di una persona di saper fare due lavori diversi, la certezza che non sarebbe mai rimasta disoccupata “Chi sa fare due lavori diversi, scriveva il Bruner, ne sa fare tanti altri dopo”. Altri proverbi che richiamano gli aspetti del viso e le parti frontali dai quali si volevano far desumere il carattere della persona, la fisiognomica per intenderci, non portano al vero, sono pseudoscienze, che la scienza ufficiale, quella del rigore sperimentale, secondo cui un dato empirico diventa scienza quando è reversibile, le ha rigettate senza appello. Bisogna saper ragionare sui proverbi e su quella che viene correntemente chiamata saggezza popolare. Bisogna saper discernere il vero da ciò che vero non è. Questo lo può fare un intellettuale come Biscione, forte della sua poderosa cultura che Ivan ha ben individuato confermandola nella presentazione al volume.
Il proverbio spesso si fa filosofia. E si fa poesia. Che poi, quando poesia e filosofia riescono a fondersi e spesso ci riescono, ne risultano aforismi e brani di indubbio valore estetico e logico. E questo può accadere nel caso di un’opera compiuta, con Lucrezio, De Rerum Natura, dove poesia filosofia scienza (epica come poesia, filosofia come ricerca del sapere, atomo come scienza) si fondono tanto da farne autentica opera d’arte scientifica, poetica e filosofica. Ma va bene anche in massime, in sentenze, in aforismi brevi, che sono uno zucchero, li trovate sparsi qua e là tra quelli citati da Pinuccio in questa splendida opera. Non capisco perché “Si sta come d’autunno sugli alberi le foglie” di Ungaretti sia autentica opera d’arte celebrata, e a ragione (me ne sono occupato anch’io in un video di 5 minuti che troverete nel web, se serve), e non anche i proverbi. Sentite questo che ci riferisce Biscione, pag, 83 “U lebbre addu nasce, dda pàsce”. Cosa c’è in questo breve componimento, lasciatemi passare questa licenza. Ma ce lo spiega l’autore: la lepre preferisce vivere nel posto dove nasce, ma è anche “una metafora che esalta l’attaccamento al proprio paese, al proprio territorio e alla propria gente, è l’esaltazione del senso di appartenenza”.
Il prof. Biscione dedica questo libro a “Carmine e Paola: riconoscerete in queste pagine le vostre radici e l’origine dei valori e dei principi a cui siete stati educati”. Guardate, questa è una carta di identità, è appartenenza, è padronanza, è legittimazione. Il proverbio popolare diventa vita del popolo, è il sentire del popolo, l’ethos popolare, è ciò che il popolo sente, un’auscultazione di pascoliana memoria, il sentire più intimo, più interno, quello della coscienza che è tale perché fondata su solide radici, l’ethos è l’oggetto proprio dell’etica, parte essenziale della filosofia. Questa l’avvertenza di Biscione. Mi permetto di aggiungere solo qualche amara considerazione, ma ne propongo nel contempo esiti. Forse siamo vite alienate come se non ci appartenessero più, vite spezzate tra tecnica senza scienza, tecnicismi senza creatività, economia senza umanità. Non vogliamo più sottrarci all’uso di tecnologia sbrigativa che sostituisce docenti e formatori, orientatori e pedagoghi. Le ragioni dell’anima stentano a ritrovare una propria strada, un percorso condiviso, vitale, creativo, esistenziale. C’è una terapia? Certo, sembra indicarcela l’autore. Tornare alle radici, alla dimensione affettiva ed umana, esistenziale e storica perché storico è il tempo degli uomini e delle donne, può essere una strada. Il tempo e lo spazio, strutture ontologiche del pensiero come le definisce il Kant, garantiscono i legami dell’uomo con il suo passato, consentono l’identità, lo studio, la stessa libertà. Recuperare la memoria storica di un popolo significa voler guardare ai contesti locali e territoriali, alle fonti orali, a quelle scritte, ai documenti, alle tradizioni, alle storie personali e familiari. La storia stabilisce il legame critico con il passato, riflettendo sul presente, proponendo per il futuro. La terapia consiste nel recupero dei valori della tradizione, stabilisce l’identità delle persone, le radici e l’appartenenza. Riempiamo la nostra vita di contenuti umani più che economici, di legami ed affetti più che di interessi superflui, di relazioni e di significati più che di telefonini e smatphone. Un recente studio, apparso su Popular Science una decina di giorni fa, comunica che stiamo diventando tutti meno intelligenti, i valori del QI diminuiscono tra i 2,5 e i 4,3 punti ogni decennio in una ricerca norvegese, mentre un’altra americana ritiene che siamo tutti sempre meno intelligenti perché fattori ambientali, cambiamenti nello stile di vita e dei sistemi educativi lasciano meno spazio alla lettura e ai libri e maggiore preferenza verso videogiochi e scrittura nel web. C’è emergenza educativa. Ciascuno di noi faccia la propria parte. Pinuccio con questo libro è solo agli inizi. Sig. Sindaco di Cancellara, porti questo libro in tutte le famiglie del suo paese e con il prof. Biscione spiegatelo. Questo libro è una miniera, c’è un patrimonio di pensieri, di osservazioni e di consigli. Cerchiamo di non dimenticare che in Grecia, VI e V secolo a.C., proverbi come sentenze, espresse in carmi brevissimi, generalmente due versi esametri, contenevano – scrive Enzo Cervellino in Paremiologia Lucana, 1964 - le massime morali più comuni dell’etica greca, che poi erano considerazioni sul rispetto degli dei, sulla superbia degli uomini, sulla ricchezza, sulla povertà, sui buoni e sui cattivi. In quella Grecia antica, i proverbi vennero attribuiti ai famosi sette saggi. Di qui, proverbio come saggezza. Questo libro serve agli studiosi di antropologia culturale, di folklore e di storia. A questo punto dipende solo da voi. O, forse e senza forse, dipende tutto da noialtri, che mostriamo di avere contezza di ciò che diciamo.
Pasquale Tucciariello