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19/04/2025
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ANTIGONE, IL MITO CHE INTERROGA |
di Antonia Flaminia Chiari |
Affrontare l’Antigone di Sofocle è forse un atto di hybris, di arroganza, di follia. Così come folle appare Antigone, la donna che porta nel nome un duplice destino: quello dell’ant-agonista che conduce una lotta (agòn) contro (antì) qualcuno; ma anche quello di colei che non genera, che non ha (o ha contro, antì) una discendenza (gonè).
L’Antigone pone al centro dell’azione il tema della liceità morale di lasciare insepolto il cadavere di un nemico ucciso. L’interpretazione tradizionale vede Antigone come paladina della giustizia, schierata dalla parte del Bene, in contrapposizione a Creonte che si schiera dalla parte del Male.
L’errore più grave di Creonte non è tanto quello di aver travalicato la separazione tra bene e male, commettendo una hybris e dimenticando l’euboulia, la saggezza; più grave è il difendere la propria decisione, anche quando gli viene offerta la possibilità di riflettere sul suo comportamento. Creonte sembra conoscere una sola parola: obbedienza assoluta alle leggi della città, e non ammette che queste possano essere in disaccordo con la legge divina.
Ben diversa è la personalità di Antigone. La sua vita è trascorsa nel dolore; non esiste disgrazia che lei non abbia visto, e questa triste esperienza ha generato in lei una visione mortifera dell’esistenza. La sua percezione del bene e del male scaturisce da una sofferta maturazione, al termine della quale sente le leggi di Dike come l’unica verità che possa guidare il cammino dell’uomo. Nel mondo che la circonda, il valore vero è velato da tanti valori apparenti; in un tragico rovesciamento di posizioni, la verità risulta follia. E infatti Antigone è trattata come folle anche dalle persone più care. Ella ha operato la sua scelta: vuole essere gradita a coloro con i quali dovrà stare per sempre, tanto da apparire agli occhi della sorella Ismene <<innamorata dei morti>>. La condotta di questa eroina della tragedia ha la capacità di cambiare chi le sta vicino: dopo aver rifiutato di seguirla, Ismene – che rappresenta la saggezza (sophrosyne) scaturita dall’accettazione del limite di fronte a forze più potenti - vorrebbe morire con lei. Analoga la posizione di Emone, fidanzato di Antigone, che pur non avendo compreso fino in fondo le motivazioni del gesto della sua amata, ne intuisce la grandezza umana e ne vuole condividere la sorte.
Siamo di fronte a due dimensioni dell’agire totalmente integre e reciprocamente impermeabili: il giusto e l’ingiusto. La figlia di Edipo rifiuta a priori ogni possibilità di dia-loghein. Restando in quest’ottica, la sola ed unica protagonista della tragedia, fiera e caparbia, è Antigone che da sola combatte per affermare il principio del diritto naturale opposto al diritto positivo. Ma in Sofocle il piano dello scontro si sposta anche su due regni: il regno dei vivi rappresentato da Creonte, e il regno dei morti rappresentato da Antigone. Secondo l’eroina solo la legge dell’Ade è giusta e uguale, perciò a tutti gli uomini va garantito il rispetto del rito funebre. La morte intorno a cui ruota la tragedia sofoclea è una morte intesa anche come dimensione di lotta politico-giuridica. Infatti il suicidio di Antigone, la punizione che ella si infligge impiccandosi, è consumata come negazione del kerygma, ordine proclamato da Creonte.
L’Antigone esprime una visione del tragico per la quale l’individuo entra in conflitto con la comunità, ed oppone una legge familiare ed intima alle leggi dello Stato; conflitto che non si esprime solo su un piano pubblico dell’essere umano che consapevolmente infrange il nomos, la norma riconosciuta dalla comunità, ma che diventa un lacerante conflitto interiore: l’individuo è dilaniato tra due ugualmente legittimi nomoi, tra la coscienza, in senso moderno, e lo Stato. L’Antigone è dunque la tragedia dell’individuo e del suo ruolo nella rete di rapporti familiari, sociali, statali, entro i quali si inserisce la propria esistenza.
L’Antigone è la tragedia dello scontro tra il “troppo ordine”di Creonte e il “disordine” di Antigone. Antigone si definisce come un essere liminare, che non abita né tra gli uomini mortali né tra i cadaveri, né tra i vivi né tra i morti. Questa liminarità tra vita e morte, tra luce e buio, che trasgredisce l’ordine naturale, caratterizza il gesto di Antigone. Nel racconto sofocleo, il sole allo zenit, senza ombre, i cui contorni delle cose si stagliano nella loro nitidezza, costituisce l’immagine simbolica del tempo sospeso. Scende una metaforica notte che si avvicina alla morte.
Nulla di premeditato, di organizzato, può attribuirsi ad Antigone che agisce per un istinto di dolore, con la subitaneità di un animale predatore, senza riflettere, come posseduta da un demone che si rivela nelle sue orride maledizioni. Per la logica del potere di Creonte, l’accaduto è impensabile. L’impensabile fa irruzione tragica nella stabilità del potere e sconvolge l’ordine del nomos, della legge.
Sono vari gli spunti di riflessione che accompagnano la lettura dell’Antigone. Fin dai primi versi, gli intenti della protagonista sono chiari: mettere da parte il valore della propria vita in favore di un gesto di pietas nei confronti del fratello Polinice, in quanto membro del ghenos. Il dolore diviene la ragione che spinge l’uomo verso un abisso oscuro, nel quale la ricerca spasmodica di giustizia finisce per essere una passione distruttiva. Altro fattore rilevante è l’integrità con la quale Antigone afferma il suo essere donna, sovvertendo l’ordine naturale e mettendo in contrasto l’ordine della sessualità e l’ordine della legge. Si intravede, in Antigone, il potere del genere femminile che chiede di poter avere voce nelle questioni di governo, ma anche una chiara critica al governo dei tiranni: dove regna l’assolutismo non può esserci libertà. Inoltre, Creonte ed Emone rappresentano due modelli politici: la tirannide e la democrazia, che sono anche due modelli etici. La morte dell’eroe simboleggia la vittoria del destino sulla volontà e sul libero arbitrio umano. Emone, eroe romantico ante litteram, si priverà della vita quando scoprirà il suicidio di Antigone, in un abbraccio tragico che ci ricorda quello di Romeo e Giulietta. Simbolicamente, il sacrificio di Antigone ha il compito di risvegliare la coscienza e riconsegnare la sovranità nelle mani del popolo che riacquista la sua capacità di governo e la sua libertà.
Rivisitazioni del mito ci hanno accompagnato nei secoli di storia, riproponendo una dialettica che attraversa l’agire umano aldilà del tempo. Il conflitto di valori, rappresentato da Antigone e Creonte, ci spinge a ripensare le discussioni dell’etica, della morale, delle leggi scritte, di quelle non scritte e del conflitto tra queste.
Sofocle coglie un tema radicato nell’esperienza umana che conferisce il dono dell’eterna attualità, ovvero la convinzione di ciascuno di possedere la verità e di fare riferimento ad una legge assoluta, non considerando l’esperienza dell’altro. Questa presunzione è rintracciabile in Antigone come in Creonte e rappresenta il perno della sconfitta di entrambi.
Oltre Antigone e Creonte è un invito all’incontro con l’alterità con le leggi scritte e con l’etica, con il rigore e la passione, con quanto prestabilito e con il nuovo. E’ un invito a creare e riconsiderare uno spazio di reale confronto, di proposta, di ascolto. Perché se è vero che è più facile riconoscersi in Antigone, è pur vero che Creonte, in un ruolo meno affascinante, difende la legge nel tentativo di garantire l’ordine per i suoi cittadini. Entrambi sono convinti di essere nel giusto e si perdono nella vanità di affermare il proprio potere, annientando le ragioni dell’altro. Solo Tiresia, cieco per gli uomini ma in grado di andare oltre, legge gli eventi e indica la necessità di percorrere un’altra via.
Il sovvertimento di Antigone riguarda anche il tempo, la religione e lo spazio. Creonte vive nel presente, nell’attualità condizionata dall’agire in vista del bene della collettività. Antigone si riferisce al passato, al ghenos di cui fa parte; il suo agire si proietta in un futuro che non obbedisce alla linearità del tempo umano, ma all’eternità di quello della morte. Fuori dal tempo storico sono anche le figure che la circondano: senza possibilità di cambiamento Edipo, Giocasta, Ismene, Polinice, Eteocle rimangono per lei fissati nell’eternità dei ruoli di padre, madre, sorella, fratello, non sottoposti ad evoluzione né a cambiamento.
Perciò Antigone e Creonte si distinguono per una diversa percezione della religione: per Creonte la religione è una istituzione fondamentale nella logica politica per il mantenimento dell’ordine. Antigone si pone fuori dalla religione come dato storico, politico e sociale, esprimendo un sentimento che la obbliga a tributare onore a suo fratello, indipendentemente dalle modalità della religione istituzionale.
Antigone e Creonte si distinguono altresì per una diversa concezione dello spazio: l’agire di Creonte si inscrive all’interno della polis e dei suoi confini. Antigone seppellisce il cadavere di Polinice fuori dalla città dando al suo gesto una validità generale, in uno spazio privo di punti di riferimento; ed ella stessa sottolinea di non essere legata alla comunità politica.
Ancora Antigone? La tragedia di Sofocle è un testo sempre moderno che resta capace di raccontare diversi aspetti dell’umano: la libertà, la disobbedienza civile, la cittadinanza e l’identità individuale. Antigone, del resto, non cessa di essere attuale: fiera e reattiva malgrado il dolore che la polis le infligge, di fronte ad una legge che reputa ingiusta la giovane tebana rivendica, per sé e per gli altri, di disobbedire al tiranno e al suo editto; e rivendica il diritto di piangere e di portare il lutto pubblicamente per denunciare l’ingiustizia subita, come donna e come cittadina, in una citta divenuta disumana.
Un invito a riflettere ancora oggi, ma non abbastanza, sugli effetti rovinosi di una ragione di Stato dispoticamente applicata, che batte la coda sugli interstizi del male banale, spingendoci ogni volta più lontano dalle leggi di Dio, dai diritti umani e dall’uomo stesso. Il lettore si trova ad interrogarsi sull’obbligo morale del restare umani, ad esplorare il problema del riconoscimento reciproco e della necessità di recuperare, in prima persona, la perduta umanità.
Antigone, una donna, potrebbe comandare? Qual è la colpa di Antigone? E’ colpevole perché trasgredisce la Legge? Perché ancora Antigone? Come agire quando la legge della comunità particolare in cui si vive è in contrasto con un ordine di legge universale? La libertà di Antigone viene a scontrarsi con l’autorità politica, con la libertà di Creonte, e noi siamo invitati a pensare ad un possibile accordo che eviti l’esito tragico, poiché dall’Antigone può emergere un modo nuovo o rinnovato di concepire l’etica e il problema politico grazie ad una sorta di rivoluzione morale e antropologica che giustifica l’interrogarsi su Antigone come identità nuova, che non ammette la separazione tra ragione e passione.
L’esito tragico indica, per l’autore tragico e per noi oggi, che la dissidenza è lo scenario ultimo; pertanto l’attualità di Antigone sta nel suo voler iscrivere nella città una scelta dissidente, nel farla divenire espressione della cittadinanza, quindi nell’operare per non scavare un fossato tra l’universo etico e quello politico.
Dalla contrapposizione di due leggi, dalla discussione che Antigone suscita circa il rapporto tra dike e nomos, irrompe la philia, che riceve un posto nella politica e nell’etica. Una domanda si pone: perché la philia? La philia come prassi politica indica un’assunzione di responsabilità nel costituirsi di soggettività, uomini e donne, come soggetti politici.
Antigone è ancora significativa per tutti coloro che di fronte ad una ingiustizia combattono per il diritto, e la sua gloria e la sua perennità risiedono nell’essere cifra paradigmatica dell’umano, quando questi introduce la giustizia come valore o regola della sua azione.
Questa tragedia ci illumina sull’etica, sul desiderio che causa e fonda la vita umana. La tragedia non ci illumina su come agire e cosa fare per essere felici, non è scritta per esaltare le virtù dell’essere umano; bensì per confrontarlo con un limite e con ciò che spinge alla vita, pur non avendo rimedio alla morte. Ecco la portata etica che Antigone incarna contro Creonte e contro la legge. L’etica del tragico è l’esplorazione del limite e di ciò che è impossibile per l’essere umano.
Tocca le corde dell’animo l’attualità di un mito che diventa inesorabilmente contemporaneo, perché dà voce a tutte quelle donne che lottano contro le leggi prevaricatrici generate dall’abuso del potere, dalla violenza della guerra e dall’annichilimento del concetto stesso di Umanità. Una Antigone senza età viaggia attraverso il tempo divenendo testimone perpetua delle ingiustizie perpetrate dall’uomo durante tutta la sua Storia, e ci investe di interrogativi riportandoci dentro le atrocità generate dai totalitarismi di ogni epoca.
Antigone, oggi, è ancora alla ricerca della Verità della vita e della ragione, e del sangue versato nel corso di guerre fratricide. Antigone oggi, sposa non sposa, continua ad andare incontro alla morte non morte, rinunciando alla vita e cercando una ragione ultima al suo sacrificio. Per aver disobbedito alla vecchia legge, scritta da un potere iniquo, la vita di Antigone, colpevole di aver seppellito il fratello in nome di una Nuova Legge non scritta ma connaturata con il senso stesso di umanità, è condannata a spegnersi privata della libertà. Una sorta di esilio senza soluzione, dunque, come la condizione dell’umanità sradicata e in attesa di purificazione.
Attraverso l’Antigone noi possiamo riflettere sulla dialettica, che è una ferita e non un innocuo confronto, tra etiche diverse, quella della persona e quella della società, quella della persona e quella dello Stato. Il problema è che là dove non viene avvertita come ferita è perché si è demandato allo Stato di decidere della persona. Non importa quali siano le ragioni dello stato di eccezione che fonda la sovranità: se queste ragioni inducono l’autorità esistente ad entrare nella coscienza, se riescono a condizionare la maniera di provare sentimenti ed emozioni, c’è da augurarsi un IO disubbidiente, trasgressivo, che testimoni i diritti della persona e si richiami al rispetto, alla dignità, all’amore. La rivendicazione di Antigone si sostanzia nelle parole celebri <<sono nata per condividere amore non odio>>.
Antigone oggi rappresenta l’aurora della coscienza, anello di congiunzione tra amore e conoscenza, vita e morte. In nome del rispetto, della dignità, dell’amore, occorre disubbidire. E sperare che Antigone ricorra ancora.
Antonia Flaminia Chiari
Centro Studi Leone XIII
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