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28/11/2022
A proposito di umiliazioni |
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di Rosella Tirico |
Si sa che la lingua italiana è ricca di sfumature e di significati che si intrecciano nei meandri dei secoli e delle influenze di popoli diversi che hanno conquistato ed abitato la Penisola. Chi scrive, chi insegna e chi conosce la lingua sa che in base a stili e contesti una parola può assumere significati molteplici e differenti.
Ultimamente ha assunto spazio ed attenzione il termine “umiliare/umiliazione” grazie ad una affermazione del Ministro della Pubblica Istruzione e del Merito in un evento tenutosi a Milano lo scorso 21 novembre. Valditara, lanciando una proposta sui lavori socialmente utili per i ragazzi violenti si è così espresso: “Soltanto lavorando per la collettività, umiliandosi anche, si prende la responsabilità dei propri atti. Evviva l’umiliazione che è un fattore fondamentale nella crescita e nella costruzione della personalità, di fronte ai propri compagni. Da lì nasce il riscatto. Quando io ero un bambino, il maestro era il maestro con la emme maiuscola. Così non si può più andare avanti”.
Si, così non si può andare più avanti, nel senso che tutti hanno sempre da dire qualcosa sulla Scuola senza essere consapevoli delle sue dinamiche e delle variabili educative che condizionano comportamenti ed apprendimenti. Tutti, ma proprio tutti i Ministri sentenziano o hanno sentenziato su come dovrebbe essere la Scuola, lanciando le proprie idee e convinzioni dall’alto senza consultare gli addetti ai lavori, sembrando anche essere mal consigliati dai propri consulenti. Le idee di cambiamento sembrano ispirate da nostalgici ricordi del passato. Un eterno ritorno è costituito dalle mitiche figure del Maestro, unico e taumaturgico, dalle merendine preparate in casa dalle mamme rigorosamente casalinghe, dal dimenticato uso della memoria e delle poesie recitate a Natale e vedrete, tra un po’, anche dalla mitica bacchetta di legno che ogni buon maestro teneva a disposizione nel cassetto della cattedra.
Si, il passato era bello e tranquillo anche nella mia scuola di periferia, ma non perché c’erano questi strumenti ed approcci pedagogici, ma perché i contesti erano diversi.
Le scuole sono invecchiate insieme a noi e non sono più adatte a tenere/contenere i ragazzi del terzo millennio, la digitalizzazione ha modificato menti e comportamenti, linguaggi ed etica. E la Scuola italiana, invece, quella sì che è stata umiliata e ripetutamente negli ultimi decenni, venendo soffocata da normative inadeguate e sempre più vincolanti, fatte per una Pubblica Amministrazione che niente ha a che vedere con visioni pedagogiche ed educative. Assillata dal contenzioso, in perenne corsa verso la Trasparenza e gli adempimenti per la Sicurezza. Mentre i docenti sono stati a loro volta umiliati quotidianamente nella propria funzione sempre più svalorizzata, assieme a quella dei dirigenti scolastici, e sempre meno autorevole. Inoltre l’aggressività delle famiglie, la continua delegittimazione sulle valutazioni di fine anno, sulla base di diverse sentenze giuridiche, l’obbligo di dover dimostrare il successo scolastico a tutti i costi per rientrare negli standard europei, la rincorsa verso i dati OCSE, PISA ed INVALSI hanno svuotato la relazione educativa.
Viste le reazioni critiche espresse da molti nei confronti della sua affermazione il Ministro ha precisato che il senso della parola “umiliazione” era da intendersi come “riconoscimento dell’errore… saper chiedere scusa… ridimensionamento dell’io”.
Senza volere approfondire i diversi significati del termine, come riportati dal vocabolario Treccani ed in cui il primo significato indica abbassarsi, inchinarsi in segno di rispetto; il secondo significato indica mortificare qualcuno offendendone e ledendone la personalità e la dignità, così da causare in lui uno stato, giustificato o ingiustificato, di grave disagio, di avvilimento e vergogna… E così via gli altri significati che indicano rendere meno superbo, riconoscere la propria pochezza… possiamo notare che tutti i significati in ogni caso indicano stati di avvilimento più o meno giustificato e quindi, a proposito di umiliazione, vorrei poter dire al Ministro ed a tutti coloro che la dovessero pensare come lui, che a volte è la vita stessa che ci umilia privandoci della salute, dell’affetto dei nostri cari o facendoci vivere in condizioni di povertà o di precario benessere. In questo caso può succedere che si diventi più forti e determinati, perché la nostra esistenza diventa una scommessa ed una sfida di fronte alle avversità. Ma quando l’umiliazione è invece deliberatamente esercitata da un'altra persona, sia essa un genitore, un maestro o un docente universitario, che credendo di farci crescere esercita un potere di controllo, gettando su di noi la propria frustrazione e mostrando pochezza umana, in questo caso, è molto probabile che non scatti in noi quella molla di riscatto e consapevolezza che ci renderebbe più responsabili e più determinati nel perseguire i nostri obiettivi. È probabile, invece, che tutto ciò ci renderebbe frustrati caricandoci di rabbia repressa pronta ad esplodere alla prima occasione. Un docente che di fronte a ragazzi difficili e/o con poco motivati ad apprendere (perché i due aspetti sono spesso complementari) dovesse utilizzare l’umiliazione come principale strumento educativo, sarebbe privo di com-passione, scarso nella relazione educativa e povero di passione per l’insegnamento.
È invece necessaria una nuova alleanza tra scuola e famiglia in cui la funzione genitoriale sia caratterizzata da maggiore autorevolezza e consapevolezza verso l’istituzione scolastica. I genitori devono imparare a saper dire i NO necessari per la crescita dei propri figli, ma senza umiliarli, ed i docenti devono poter dire i NO necessari per verificare e valutare i reali processi di apprendimento ma motivando ed incoraggiando. Saper e poter dire i NO senza interrompere il dialogo educativo, senza mai dimenticare la ricchezza dell’altro che abbiamo in cura.
Una scuola che umilia non educa ma al massimo istruisce ed addestra.
Prof.ssa Rosella Tirico
(ex dirigente scolastico)
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