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La moltiplicazioni dei linguaggi
nell’arte di Gino B. Cilio
di Carmen De Stasio
Disponibilità e saggezza. Tra le cosalizzazioni componibili in una parola che sia addensamento di plausibile definizione, i due termini eseguono la trascrizione visuale di meta-generazione nella competenza del vedere quale distinzione dell’arte e dell’artista.
Nel disporre l’atto in leggibilità, se ne esalta il suono; in un certo modo, se ne avvertono la cadenza e la delicatezza sostanziale prima di pervenire a un solco proponibile della tonalità variante dell’essere. Dell’essere artista. In tal senso, disponibilità e saggezza assumono l’aspetto di confluenza apicale di un colloquio con le maniere d’arte vivente in diffusione alla stregua di un albero, le cui radici, celate alla vista ma profonde e diffuse, e le cui ramificazioni esterne – che acquisiscono una varietà estensiva obliqua e in intreccio ‒ mantengono un’identità qualificante. Unica e irripetibile per il fatto di essere generazione creativa ben oltre la coltre delle apparenze o delle sonorità. E, infatti, tattilità e movimento sono cadenze flâneur della natura artistica e culturale (senza blandizie elogianti per il cultuale) di Gino B. Cilio, al quale dedico la mia riflessione.
Nel solcare terreni con un’abilità epistemica (com’è attendibile in arte), esemplarità fremono e silenzi annunciano un’anticonvenzionalità assimilata in maniera del tutto originale rispetto a un’esclusività dominante che potrebbe protendersi in artificio verso una spontaneità in incessante conflitto con le traiettorie mobili che, invece, valgono come segnale di un percorso ponderato, conclamato nella meditazione e giammai figurato in dimenticabilità.
È un fatto che, nel declinare la tensione che anima l’esecuzione artistica fin dalle prime fasi, Gino Cilio concioni l’esistenzialità in un’esiziale episteme corrispondente alla praticabilità delle espressioni d’arte, che, pertanto, assumono l’originalità quale moto individuale e conquistano il territorio umano, implementando fasi allocutive e confinando in un luogo di a-sensibilità lo staticismo sornione che l’unicità di stile e materiali sovente impone per suffragare il riconoscimento dell’artista. Rigenerandosi di conseguenza alla saggezza visualizzante delle circostanze che agitano l’esperienza, Cilio sovverte l’ordine inquisitorio con l’allusione a una questionabilità mediante la quale scientificizza le problematicità visive e ne include la sostanza in vere e proprie ricombinazioni di esigenze del tutto individuali con una non-consuetudine che ne rivela la valenza strutturale.
Questo consente di parlare di apicalità artistiche e non solo: permette la transizione costante dei linguaggi ricorrenti in un’accumulazione radicale sommersa, nella quale si esprimono in autonomia sia il passaggio del tempo, che le incidenze del medesimo tracciato temporale, pervenendo a un’interazione mutevole attraverso quelle che considero moltiplicazioni dei linguaggi nell’arte. Di fatto, nelle operazioni cultural-artistiche di Cilio riconoscibile è la presenza di un tracciato mobile nella comprensività delle assonanze e delle discordanze che rientrano nel quadro della materia esistenziale. E non potrebbe che essere così: nell’accompagnare le contraddizioni della concretezza, le operazioni ciliane risultano inclusive dell’incidenza dell’impensato (M. Perniola) quale tratto distintivo di una generazione tonale continua. Ecco perché parlo di operazioni artistiche in pienezza anziché di opere realizzate, fatte e concluse: in una scientificità in movimento (tensiva, dunque) e nell’elisione di stratificazioni che potrebbero fondersi con successivi ripensamenti, Cilio forgia costantemente l’attività riflessiva con l’adeguamento individuale (ma non stanziale) a un procedere che distilla tanto la visualizzazione quanto le concordanze con la tessitura del vivere, tale da rendere effettuale il riconoscimento di creatività strutturale a partire da consonanze con un parola scritta nella mediazione della trama.
Questo il motivo per il quale intendo solido e, a un tempo, fluttuante, l’intero percorso nelle fasi espressive, dalle quali assente è la spontaneità quale esemplificativo passaggio di codici relativi a uno scambio acquiescente e transitante, scongiurato, al contrario, da una riflessione attiva. È una maniera che permette all’artista il movimento senza dissociarsi mai dalla sua parabola in orizzonte; viepiù, evade dal pericolo di lasciar decadere l’opera e la sua oggettivizzazione in un immanentismo che inclini l’operatività a scaturigine unica d’impassibilità e appiattimento. Invero, nel selezionare condizioni effettuali che diano sedimento futuribile alle opere – vere cadenze prospettico-architettoniche epocali, oserei dire ‒ Cilio sollecita una corrispondenza che avviene nell’ambiente e per ambienti, in una concertazione di confluenze mai casuali e composite di sonorità materica, sia quando a esplodere è un cromatismo associativo, che quando a prospettarsi è la complessità installativa o sculturale. O, ancor più, quando il poliedrico territorio si avvale della medianità di sistemi tecnologici quali attualizzazione di una continua simbiosi con intervenienze in grado di traslare l’opera in occasione ed evento: nell’attenzione riservata alla variabilità ‒ anche in ragione dell’uso di mezzi tecnici progressivi ‒ l’artista riesce a calibrare e convertire i dati esteriori in implementazioni senzienti di una musicalità polimorfica e si affida alle potenzialità irradianti e protese dalla rigenerativa condizione umana solidamente sociale, al fine di contemplare un coreografico collegamento spazio-tempo che esuli da saperi consunti e proceda nella sua proteiforme evoluzione.
A tal proposito, aggiungo, si potrebbe configurare il fermento quale attività di appunto: inesauribile, sostenibile di memoria e di modi. Nella congerie artistica, le forme compaiono altalenanti strutture impalcate attraverso una comprensiva condensazione, giammai accantonata come cornice restrittiva delle intenzioni e delle motivazioni. Al contrario, esautorata dei limiti talora fuorvianti e occlusivi, la cornice sconfina costantemente, occhieggiando alla stilistica dei tempi e irrompendo sulla scena con un fragore in rinnovamento. È questo il fare arte essendo artista: nell’evitare il cristallizzante baratto delle specularità (aspro contenitore che ripropone in dissuasione il prospetto copiativo di sé), Cilio diffonde se stesso e la propria autonomia all’interno delle sue operazioni, trasmigrando da una tensione all’altra e condensando le complessità secondo forze variabili silenti, impregnate di logica fattuale e mescolandosi (in un certo qual modo) alle cromie e alle non-cromie. Ai riempimenti formulati con addensamenti magmatici che compongono un proprio ordine, relazionandosi a un ambiente costituito per solidità coeve.
In fondo, null’altro che il transitare lungo la rotta del creare, corrispondente a un’esposizione in prima persona alle varianze che accadono in estensiva tendenza al possedere-condividere. In tal senso il saper vedere consegue l’aspetto caratteriale dell’artista che pure esiste, che non si confonde con un’oggettività di mistificati messaggi e costruisce sostenuto da un’energia derivante dalle cadenze di un’architettura fondata sulle potenzialità di un carattere antroposofico, esaustivo e, al contempo, in esposizione alla mutabilità.
Perché sia riconoscibile nella (sua) arte, è necessario che l’artista possegga una forte dose di generosità e in essa rinnovi il proprio riconoscimento attraverso la resa materializzata delle cosiddette circostanze fuggitive, senza le quali non apprenderebbe la linfa vitale di un esprit de jeunesse indomabile e inesauribile. Diversamente sarebbe solo attuazione tecnica – scadendo in quegli «ismi» ottundenti e dissacratori, devianti in una sottile e distrattiva idolatria delle proprie maniere. In questi termini, la versatile autonomia delinea quella che ho già definito moltiplicazione dei linguaggi e che domina il territorio arte-tessitura di Cilio, tale da conferire vivacità logica e, addirittura, prossemica, a un’impalcatura motivata, parabolico-estrinsecativa dei materiali e degli ambienti, con i quali l’artista interloquisce perché siano manifestazione intenzionale in una complementarietà evolutiva per fasi contigue. Si tratta di una maniera particolare che permette agli elementi strutturali di assumere una completezza in grado di ridurre le distanze tra spazialità connotative, di moltiplicare le effettualità argomentative e mantenere intatta la confluenza di esternalizzazione-interiorizzazione in territori permeati di infinitesimali sponde.
In questo il riconoscimento ergonomico a un’arte che si slancia nell’ulteriore che vive accanto e che non ha bisogno di ricercare un’improponibilità per assenza di prove che possano cadenzare l’umanità che vive e si riscontra nella materia. In fondo, se l’arte non fosse materializzazione intenzionale, non ammetterebbe il valore antropico e ciò senza scomodare eventuali deformazioni che solo annienterebbero il valore in quanto rispetto-riconoscimento sia dell’opera che dell’artista che l’ha realizzata a partire da un progetto. Tutto ciò sostiene viepiù l’impatto intellettivo-culturale di Cilio: agendo su una vastità di fronti studiati dalla parte dell’uomo che agisce di consesso al suo progettare, inclinando piani perché dalle innumerevoli fasi relative alla molteplicità dei trascorsi si ottenga una spiegazione che colletti un possibile programma futuribile, l’artista non pregiudica, né rilascia d’accanto nulla, ma consente alle sue espressioni di svettare fuori di sé quali isole vaganti, dove l’attualizzazione del conoscere è grembo per nuove creazioni comprensive di significati. Così i significati sussistono nella forma e la struttura diviene il clima congeniale perché l’opera sia consesso di efficaci enallage in conformità alle variabili modali d’essere nella pluri-segnificazione visiva.
Si tratta di una prospettiva che, come già asserito, conferma lo strenuo interesse per i contorni e le curvilineità mai assiomatiche dell’esistere, inteso di volta in volta nella trasparenza di vicende condizionali di lettura interpretativa e, dunque, di scrittura idonea. In tal senso avviene il fenomeno straordinario di aderenza tra vocalità e complicità di passaggi da qualsiasi punto di vista, mai corrispondendo a un’interruzione deflagrante; mai sollecitando la staticità di uno stile rispetto ad altri.
In questo, inoltre, il carattere di una sanguigna complicità tra artista e arte. Tra artista e l’arte stessa nel compensare la maniera d’arte come cadenza non già per giustificare un percorso, quanto per disporsi in rispettoso silenzio tra le strutture confluenti in una sinusoide del pensare continuo, dell’impressiva intraprendenza.
Non un concetto asettico e astratto di immaginarie composizioni dunque, ma un’immaginativa composizione, nella quale la capacità intellettiva riesce a compensare mancanze visive. E la visività, l’approccio mediano tra i linguaggi, rapprende in profondità lo scorrimento progressivo di un verbo coniugabile in termini letterario-sociali, abile a ravvivare le consuetudini in un afflato territorializzante e penetrativo per il sol fatto di predisporsi sulla linea del potenziale edificabile.