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Intervista a amedeo ariano - a cura di angela de nicola

 



SENTIERI DEL JAZZ,
PAROLE DI JAZZ
CON AMEDEO ARIANO

 

intervista a cura di Angela De Nicola

 



Da destra:Amedeo Ariano, Luca Bulgarelli, Sergio Cammariere, Fabrizio Bosso, Bruno Marcozzi.

Che bella esperienza è stata poter intervistare Amedeo Ariano. Stiamo parlando di uno fra i più grandi batteristi del panorama jazzistico italiano che in questi giorni onora il sito del Centro Studi Leone XIII) della sua presenza. Una lunga chiacchierata telefonica mi ha rivelato (ma credo rivelerà un po’ a tutti i lettori del blog) le caratteristiche di una forte personalità musicale ma anche la simpatia e la disponibilità di un artista che di tutto il suo talento lascia trasparire anzitutto un macroelemento: l’umiltà. Umiltà che è poi sfumatura proporzionalmente evidente nella misura in cui si evincono in maniera innegabile doti udibili non solo nell’ambito dei concerti di cui egli è protagonista (e a questo punto riconoscerlo e definirlo solo ed esclusivamente come “il batterista di Sergio Cammariere” con cui collabora felicemente e stabilmente da ben diciotto anni, sarebbe un grosso limite e rivelerebbe un senso critico piuttosto miope all’interno della critica musicale) ma che si rivela altresì nei numerosi lavori discografici di cui egli è stato coautore o trainante “music maker” se così si può dire. Nei tratti salienti del suo immenso curriculum artistico che ho potuto gentilmente visionare, che inizia all’età di quattordici anni in quel di Salerno (sua città natale) e di cui mi è risultato sinceramente difficile ottenere un sunto preciso ed obbiettivo tanta è l’esperienza di vita accumulata in esso, televisione e radiofonia locale spiccano come primi eventi.
Tra i venti e i trent’anni Amedeo è già insegnante accademico del suo amato strumento - appreso in maniera assolutamente autodidatta - all’Accademia musicale Setticlavio di Salerno. Negli anni accumula collaborazioni davvero eccellenti ed invidiabili del calibro di John Griffin, James Moody, George Coleman, Benny Golson , Sonny Fortune, Bobby Watson, Jessie Davis, Steve Grossman, David Murray, Ronnie Cuber, Cedar Walton, James Hurt, David Lewis, il grandissimo Tony Scott (uno degli arrangiatori dell’orchestra in cui cantava Billie Holiday per intenderci) Toots Thielemans, Tony Levin, Sarah Jane Morris, Gal Costa, Chiara Civello, Lucio Dalla, Bruno Lauzi, Renzo Arbore, Gino Paoli. nonché collaborazioni con Enrico Rava, Romano Mussolini, Lino Patruno e ancora stabili collaborazioni con il grande trombettista Fabrizio Bosso, con Nick the Nightfly, con Joy Garrison, con Rosalia De Souza, con Max Ionata, con i fratelli Deidda, con Javier Girotto, con Gegè Telesforo, con Stefano Di Battista, con Danilo Rea, con Enrico Rava, con Olen Cesari. Coordinatore nazionale dell’AIPS (Associazione nazionale professionisti dello spettacolo) e presidente del Musicart, Amedeo Ariano è ancor oggi membro stabile della Salerno Jazz Orchestra ed insegnante presso la prestigiosa scuola jazz di Roma “Percentomusica”. Molte le presenze in televisione ed addirittura nel cinema: citerò solamente la fiction “L’uomo sbagliato” con Beppe Fiorello per poi menzionare le presenze in qualità di musicista a “Unomattina”, “Maurizio Costanzo Show”, “Tappeto Volante”, “Top of the Pop”, “Festivalbar”. Tre poi le presenze al Festival di Sanremo: la prima guadagna nel 2003 il terzo posto con Sergio Cammariere nello storico brano “Tutto quello che un Uomo”, la seconda il podio assoluto con Stefano Di Battista e Nicky Nicolai con il brano “Che mistero è l’amore” e siamo nel 2005, la terza nuovamente con Cammariere e siamo nel 2008 (“L’amore non si spiega”). Concerti in tutto il mondo, da Shangai a New York, fanno di Amedeo Ariano un punto di riferimento per i cultori di una batteria jazz che per la sua versatilità riesce a rivelare altresì precisi tratti funky e blues. L’intervista che segue conferma - se ancora fosse necessario- una grande, personale “storia di qualità” dandoci la misura artistica di una passione che da sola ha costruito un mondo musicale prismaticamente profondo, completo e qualitativamente eccellente.

D - AMEDEO, CHE MUSICA ASCOLTAVI DA RAGAZZO? AVEVI UNA PARTICOLARE PROPENSIONE PER L’ASCOLTO DEL JAZZ? C’E’ STATO O C’è DEL JAZZ CHE IN QUALCHE MODO HA FORMATO O DECISO LA TUA STRADA ARTISTICA?...INSOMMA: IL TUO SOGNO DI BAMBINO ERA PROPRIO QUELLO DI FARE IL MUSICISTA JAZZ?
R -  Devo dire che da ragazzino non ascoltavo propriamente musica Jazz. Mio padre, fisarmonicista per passione nonché appassionato fruitore di musica leggera, era solito acquistare dischi ed allora per me l’ascolto della musica diventava una cosa più che naturale perché attingevo con piacere da questa grande “riserva musicale” che avevamo in casa. Mio zio paterno poi suonava ai matrimoni ed io lo seguivo abitualmente perché semplicemente ero attirato dall’idea di vedere da vicino le performances di una band musicale che suonasse dal vivo e devo dire che, più di ogni altra cosa, mi capitava spesso e volentieri di guardare quello che faceva il batterista, come suonava … e così -una volta a casa- un po’ per gioco, un po’ per imitazione, cercavo di rifare il pezzo su una batteria che in famiglia possedevamo da un po’ di tempo ma che nessuno aveva mai usato. Si trattava di un regalo che era stato fatto a mio fratello ma che lui non utilizzò mai … ed è così che mi sono avvicinato a questo strumento. Cominciai a costruire il mio “orecchio musicale” modellandolo sul suono delle big band, su quello delle orchestre e lo facevo assolutamente da autodidatta … ed il mood del Jazz entrò nel mio orecchio piano piano, così come piano piano si cresce con l’età e con le idee. A quattordici anni ho fondato la mia prima band: non suonavamo Jazz ma semplicemente musica leggera e – pensa - eravamo tutti ma proprio tutti quattordicenni: tra gli altri, oltre me e mio fratello gemello Gino Ariano al basso, a suonare la chitarra lo storico amico Angelo Carpentieri. Il nome che decidemmo di dare al gruppo fu “Equipe 56” perché quel numero sommava i nostri anni. Presto finimmo a Telesud, una televisione locale in cui si faceva un “programma - quiz” tipo Sarabanda per intenderci, nel quale noi che eravamo la “band di animazione” suonavamo i brani da indovinare. Cominciò così per me quella prima forma di popolarità – una popolarità tutta locale - che mi diede tante soddisfazioni ma che soprattutto mi formò musicalmente attraverso i primi ingaggi e le prime serate dal vivo, quelle che ti abituano a stare su un palco o comunque davanti a tanta gente. Un’altra tappa per me importante è stata addirittura (strano a dirsi) il servizio militare svolto a Fano. Era il 1988 e l’allora comandante della Caserma era -neanche a dirlo- un appassionato di Jazz ed è proprio in quella circostanza che cominciai ad avvicinarmi con sempre maggiore decisione a questo linguaggio musicale: suonavamo del Jazz praticamente tutte le sere con una bella formazione e io scoprii molto del linguaggio di uno Chick Corea ad esempio. La passione per questo tipo di musica cominciò a diventare così forte che mi decisi a sfruttare il congedo militare per raggiungere Perugia durante Umbria Jazz dove seguii i seminari della Berkeley School of Music i quali impostarono credo definitivamente il mio linguaggio alla batteria Jazz. Dopodiché decisi di trasferirmi definitivamente a Roma, lasciando sia Salerno che il mio lavoro di rappresentante per Case Farmaceutiche ed è stato lì che ho avuto un incontro direi decisivo e fortunato che diede una netta sterzata alla mia carriera : parlo dell’allora direttore di Radio Rai, Adriano Mazzoletti, il quale, colpito dal mio modo di suonare, mi indirizzò con generosità verso le situazioni live più importanti della capitale. Da lì le esperienze che tutt’ora vivo e che tutti conoscono a partire da Sergio Cammariere per finire con Nick the Nightfly, Gegè Telesforo, Stefano Di Battista etc …

  D-  COS’è PER TE IL JAZZ?
R-  Il Jazz è un modo di vivere prima ancora che di suonare. E’ un modo di essere, di sentirsi e di sentire. E’-credo- il tipo di musica che riesce ad esprimere quello che senti forse in maniera più immediata ed è il più autentico dipinto musicale dell’artista intento a produrlo. Nel Jazz tu diventi l’artefice più spontaneo e diretto della tua musica e se per caso sei un musicista introverso quello che viene fuori è un Jazz immediatamente introverso, mentre se al contrario sei un musicista solare, quello che viene fuori è un disegno musicale più energico e positivo. Credo che il Jazz sia una sorta di sinergia musicale dell’anima.

 D- DALLA TUA POSIZIONE PRIVILEGIATA DI MUSICISTA DALL’ALTO CURRICULUM E DALLA RICCA E COMPROVATA  ESPERIENZA, COME VEDI OGGI LO STATO DI SALUTE DEL JAZZ IN ITALIA ED IN PARTICOLARE NEL NOSTRO SUD IN TERMINI DI PRODUZIONI, DI CONCERTI, DI VOGLIA DI FARE ED ASCOLTARE JAZZ?
R-  Il mio è un punto di vista ottimista e perciò vedo la situazione in perfetto crescendo. In questi ultimi anni – non dimentichiamolo-  il Jazz è diventato anche un fatto di moda, perché se ci fai caso sono molti i cantanti pop che cercano spesso un progetto jazz o una chiave Jazz per esprimersi, o magari per riesplorare, per rileggere le loro produzioni … c’è – credo -  una sorta di fermento generale nella globale consapevolezza che il Jazz superi un po’ la musica leggera sia nei suoi intenti che nelle sue prospettive. Certo, se pensiamo al numero di concerti, all’estero si suona di più che in Italia. Il problema nasce quindi un po’ dallo Stato e dagli Enti che da noi restano comunque sempre un po’ restii a dare proventi e fondi per questo tipo di manifestazioni. Quindi direi che in definitiva c’è molta buona volontà (ad esempio sono nati molti Festivals anche qui al Sud e le produzioni di molte band ed artisti emergono quasi giornalmente) … il problema però risiede sempre nella giusta visibilità che a volte non riesce ad essere data a questo tipo di situazioni.

 D-  UNA DOMANDA FORSE APPARENTEMENTE BANALE : SECONDO TE IL JAZZ VA Più STUDIATO O Più IMPROVVISATO?
R-  Puoi improvvisare il Jazz fino ad un certo punto, dopodiché ci sono sfumature che non puoi raggiungere senza lo studio. Il mio parere è che il Jazz non solo va studiato sempre e comunque e non solo va esercitato quotidianamente, ma soprattutto è importante che sia suonato con più gente possibile e il più possibile con gente diversa da te e più brava di te. Questo perché se è vero che basilarmente il linguaggio musicale è lo stesso per tutti, è anche vero che i modi di pensare questo linguaggio sono naturalmente e fondamentalmente diversi, in quanto diverse sono le persone dal quale questo linguaggio nasce … perché giustamente ognuno di noi è diverso, unico. Diciamo che il segreto di un “buon Jazz” è unire tecnica e cuore all’entusiasmo dello stare insieme producendo musica.

D-  QUAL È IL RUOLO DEL BATTERISTA IN UNA FORMAZIONE JAZZ? COME SI PONE LA BATTERIA IN UN CONTESTO ACUSTICO SIA NEI LIVE CHE NELLE INCISIONI DI DISCHI?IN ALTRE PAROLE: CHE TIPO DI RUOLO VIENE DATO AD UNO STRUMENTO CHE IN MANIERA MOLTO PROFANA L’ASCOLTATORE MEDIO TENDE A CONSIDERARE COME SECONDARIO MA CHE NEI FATTI (SPECIALMENTE IN AMBITO JAZZISTICO) NON LO è PER NULLA?
R-  La batteria è fondamentale nel Jazz, è un fulcro, un perno … e direi che questo lo si percepisce in quanto il Jazz ha in se stesso una ritmica particolare e di questa ritmica non puoi non accorgertene anche ascoltando solo un pianoforte o un sax che suonano Jazz. Questo perché anche questi ultimi strumenti risultano essere nel Jazz strumenti altamente ritmici proprio come lo è la batteria. Infondo nel Jazz abbiamo a che fare con tanti elementi “solistici” quanti sono gli elementi della band. L’importante è che tutti gli strumenti abbiano un buon “timing” nel prodursi insieme. Ed infondo è bello poi pensare che in ambito jazzistico ci possa essere la possibilità che un pianista o un sassofonista “pensi”come un batterista o che (come molto spesso hanno detto di me) la mia batteria suoni come uno strumento melodico o armonico … è proprio da questo modo “inverso” di pensare, da questa osmosi che nascono – credo- le cose migliori. Personalmente, sai, la batteria è l’ultimo strumento che vado ad ascoltare in un ensemble jazzistico: tendo invece ad ascoltare di più la traccia armonica o melodica e molto probabilmente questo si riversa sul mio modo di suonare insieme agli altri … insomma, sono uno che suona più per vivere la sua musica insieme agli altri e meno per fare il mio esercizio, il mio numero, il mio assolo.

D-  UNA DUPLICE DOMANDA, VISTO IL TUO DOPPIO MESTIERE DI MUSICISTA ED INSEGNANTE. QUAL È IL TUO RAPPORTO CON IL PUBBLICO CHE TI SEGUE E TI ASCOLTA (OVVERO CHE TIPO DI PUBBLICO HAI E COSA IL PUBBLICO TI Dà NELL’ IMPROVVISAZIONE LIVE, NELL’ INTERPLAY CHE SI CONSUMA DURANTE I VOSTRI CONCERTI) E QUAL’E’ INVECE IL TUO RAPPORTO QUOTIDIANO DI INSEGNANTE CON GLI ALUNNI DELLA SCUOLA JAZZ IN CUI LAVORI?
R- Per quanto riguarda il pubblico che mi segue ho molto rispetto, anzitutto perché in esso c’è una predisposizione particolare all’ascolto, predisposizione che esiste “a priori” in chi sceglie di ascoltare questo tipo di musica; dopodiché penso che nei miei e nostri live traspaia un po’ quello che sono, ovvero una certa solarità, positività, gaiezza, nonché tanta passione. E credo anche che traspaia molto di quel senso di unione che mi lega ai vari gruppi con cui collaboro, anche perché non ho mai cercato di essere in competizione con nessuno dei miei colleghi. Per quanto riguarda invece il mio rapporto di insegnante, semplicemente non mi considero tale: non amo catalogare i miei allievi come “discenti” o “apprendisti musicisti” bensì come futuri e possibili colleghi che mi auguro di vedere presto insieme a me sui palchi o a ricalcare le mie stesse orme. A loro cerco di trasmettere tutta l’esperienza maturata in trent’anni di lavoro, consigliando sempre a ciascuno di approfondire il linguaggio musicale “semplicemente suonando”, perché più suoni, più conosci il linguaggio musicale e più sei capace di sostenere un’interplay, di qualunque natura esso sia.

D- PER CHIUDERE: PUOI ACCENNARCI QUALCOSA CIRCA I TUOI PROGETTI FUTURI?HAI ANCORA UN SOGNO DA REALIZZARE COME MUSICISTA O TI RITIENI TOTALMENTE APPAGATO NEL TUO PERCORSO ARTISTICO?
R- Sono ovviamente felicissimo di quello che ho ottenuto e raggiunto fin’ora in tutto il mio percorso, ma certo non ho mai avuto né mai avrò intenzione di fermarmi. Desidero sempre migliorare ed acquisire nuove esperienze musicali e lavorative. Nell’imminente 2017, oltre alla continuazione della nuova tournée iniziata lo scorso 8 Dicembre a Bari con Sergio Cammariere (che mi vedrà impegnato per tutto l’anno fino a fine estate) posso anticiparti la prossima uscita del mio secondo disco di inediti con Nick the Nightfly e quasi contemporaneamente la pubblicazione di un altro disco con i miei storici colleghi- i fratelli Deidda-  disco che dovrebbe intitolarsi “Deidda Brothers & Amedeo Ariano” il quale vede, tra gli altri, la partecipazione di Julien Mazzariello e di Pierpaolo Bisogno.
(15 DICEMBRE 2016)

UN GRAZIE PARTICOLARISSIMO AD AMEDEO ARIANO PER IL TEMPO E LA PAZIENZA CONCESSE NELLA REALIZZAZIONE  DI QUESTA PREZIOSA INTERVISTA.

 

 

 

 

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