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06/01/2024

Intellettuali e Politica. Ragioniamone
di Michele Lacava

 

È risaputo. Il corpo umano funziona solo se tutte le sue componenti assolvono i propri compiti. Così, mentre al cervello spetta l'elaborazione delle azioni, il cuore è deputato alla diffusione degli stimoli giusti affinché si trovi un senso per compierle. Quindi, per un corretto funzionamento del nostro organismo, le due parti devono trovare una sinergia. A mio avviso, questo modello metaforico può essere applicato anche all'ambito politico e sociale, diventando un ottimo spunto per costruire una società gestita da un gruppo dirigente adeguato alle sue esigenze. Ma per costruire una classe politica qualificata, c'è bisogno di una solida intellighenzia che la produca. O, per meglio dire, che la ispiri. Politica e cultura, infatti, all’interno di una società, sono l'equivalente di mente e cuore nella nostra vita, e per produrre benefici devono raggiungere un'intesa.

Se guardiamo al passato prossimo, e più precisamente, all'epoca della Prima Repubblica, capiamo come molti tra i politici più virtuosi fossero istruiti e animati da una forte spinta umanistica e culturale. E non bisogna per forza consultare scritti personali o documenti ufficiali di personaggi come Aldo Moro, Enrico Berlinguer, Giulio Andreotti, Tina Anselmi o Nilde Iotti, per capirlo. Basterebbe ascoltare le loro interviste o guardare filmati di alcuni interventi istituzionali per evincere quanto una condotta morale seria e rigorosa fosse necessaria per rendersi credibili di fronte agli amici di partito, ai colleghi e agli elettori. Ad esortare i politici all'impegno, però, c'era anche una classe intellettuale di tutto rispetto.

Scrittori come Pasolini o Sciascia; giornalisti come Scalfari, Biagi e Montanelli; registi come Scola, Petri e Fellini o filosofi del calibro di Umberto Eco. Tutti seguivano con grande acume e lucidità l'attualità politica, criticando di tanto in tanto l’operato dei governanti, avvertendo, evidentemente, anche un grande senso di responsabilità nei confronti dei cittadini oltre che una naturale predisposizione intellettuale. Molti di essi erano anche iscritti ai partiti o militavano in alcuni movimenti, prendevano parte a manifestazioni pubbliche e sindacali, sostenevano cause locali e globali con passione e determinazione, talvolta, mettendoci la faccia. Se alla politica si integra o si accosta la cultura, anche la qualità del tenore di vita sociale si innalza. Ma una buona classe dirigente può divenire tale solo se è capace di ammette tra le sue file figure di grande sensibilità ed empatia, requisiti imprescindibili per ricoprire incarichi pubblici. D'altra parte, come si può sondare l'animo di un popolo senza avere tatto? Come si può entrare in contatto con esso, se non attraverso l'empatia e la sensibilità? Malgrado siano doti innate nell'individuo, destinate prima o poi ad emergere, necessitano comunque di essere coltivate e sviluppate nel tempo con una certa costanza. E lo si può fare solo mediante mezzi culturali come la letteratura, le arti, la filosofia e le scienze sociali.

Non che il sapere scientifico sia secondario e, quindi, trascurabile. Ma, per stimolare le suddette virtù, servono discipline che sollecitino e tengano attive le sfere emotive e sentimentali perché il raziocinio, da solo, non basta. Un approccio esclusivamente realista e pragmatico alle problematiche dell’esistente è insufficiente per comprenderle e risolverle. Ecco perché serve investire nella cultura che, da sempre, è il motore del migliore agire umano. Oggi, gli intellettuali in circolazione sono molto meno di ieri. E, quei pochi che hanno il coraggio di esporsi pubblicamente sulle tematiche politiche, subiscono in continuazione attacchi da parte di una classe dirigente riluttante ad accettare la critica come legittimo strumento di opposizione. Ma l’opinione di un intellettuale è fondamentale per la difesa e la sopravvivenza di una democrazia. È necessario investire di più nella cultura, e che si parta dalle piccole realtà per allargarsi sul resto del territorio in una prospettiva di respiro nazionale. Sappiamo bene che carmina non dant panem. Ma è anche vero che, se non si impara ad apprezzare e distinguere il gusto delle cose, ci si abitua a tutto. Anche alla mediocrità e alla povertà morale. E da sole bastano per far nascere intorno a noi il deserto.

Michele Lacava
Centro Studi Leone XIII

 

 

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