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01/11/2023

PNRR in Basilicata:
per il momento solo una preghiera
di Michele Lacava

 

La Basilicata perde sempre più giovani. È questa l’angosciante fotografia dell’ultimo rapporto dell’Istat che si è concentrato soprattutto sul Mezzogiorno e i suoi giovani abitanti sempre più propensi a prendere in mano i bagagli e lasciarsi alle spalle la porta di casa per andare a cercare fortuna altrove. Un sunto ridotto ai minimi termini, proprio come si prefigura il destino di una regione che rischia davvero di diventare il fanalino di coda permanente delle prossime classifiche demografiche. Le cause dello spopolamento sono molteplici e se n’è parlato fino alla nausea, anche se le principali sono congenite e sempreverdi, come la mancanza di lavoro e di opportunità per gli autoctoni.

Ma a spingere i giovani a partire, specialmente se si tratta di ragazzi e ragazze che hanno appena terminato gli studi superiori, c’è anche il desiderio, se non proprio il bisogno impellente, di scoprire e scoprirsi al di fuori di una terra che a una certa può diventare stretta. Una necessità che, quindi, ha più motivi intimi o ideali che ragioni pratiche. E mentre avvengono incontri, si sperimentano nuove esperienze e ci si forma sotto il profilo umano, sociale e professionale, ci si chiede anche se, una volta conseguita la laurea, l’abilitazione o quel che sia, varrebbe davvero la pena di tornare a ristabilirsi nel luogo natìo.

Un dubbio legittimo che deriva da nuove esigenze e nuove aspettative, che non possono non tenere conto anche dell’impegno e dei sacrifici economici sostenuti per garantirsi un adeguato percorso formativo. Chi si forma altrove e poi sceglie, o è costretto, a tornare a casa per ristabilirsi in maniera definitiva, sa benissimo che la sua decisione potrebbe significare aver rinunciato a un tenore di vita pieno di vantaggi e benefici, perché le condizioni che ci si ritrova davanti non sono altro che le vecchie ragioni che spinsero a partire.

Per stravolgere questo paradigma, i fondi del PNRR sarebbero una manna dal cielo, ma solo se, ovviamente, venissero incanalati nelle giuste direzioni e risollevassero i settori più colpiti dalla crisi. Sarebbe una boccata d’aria fresca vederli investiti, ad esempio, nella sanità, nell’istruzione e in tutti gli altri ambiti culturali, nello sport, e per ricucire gli strappi del tessuto sociale. Un toccasana per i polmoni che si sono già abituati all’odore di stantìo che da anni ormai imperversa nell’atmosfera di comunità abbandonate alla stagnazione e sprovviste persino degli strumenti idonei alla salvaguardia della propria identità. Tuttavia, i fondi stanziati dall’Ue rimangono, almeno per il momento, solo una preghiera per evitare che Cristo si fermi di nuovo a Eboli. Con la speranza che non diventi presto un’imprecazione contro chi e come dovrebbe amministrarli e investirli.

Michele Lacava – Centro Studi Leone XIII

Michele Lacava
Centro Studi Leone XIII

 

 

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