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01/11/2023

L'UNIVERSO CALVINO
di Antonia Flaminia Chiari

 

Corifeo della leggerezza, utopista dialettico, autore fiabesco, Italo Calvino è figura centrale nella letteratura italiana del ‘900. Lo è stato come editore e come autore. Ha attraversato le inquietudini della società italiana, lo slancio della ricostruzione dopo il disastro della Seconda guerra mondiale, la delusione del crollo degli ideali e l’amarezza di fronte al vuoto della società dei costumi. Lo ha fatto come poeta e favolista, prima neorealista poi innovatore e sperimentatore, senza mai rinunciare all’equilibrio di una scrittura limpida. Ha regalato alla letteratura italiana figure ora imprescindibili: il visconte, il barone, il cavaliere, Marcovaldo; e la più bella meditazione sulla democrazia nella sua Giornata di uno scrutatore. Così come la letteratura del nostro Paese sarebbe più povera senza le prose delle Cosmicomiche, senza la grazia sospesa delle Città Invisibili.

La frequentazione dell’ambiente dell’editore Einaudi segna una vera e propria svolta nella vita di Calvino, che scopre e cura libri di tanti autori segnalandoli alla casa editrice, profondamente radicata nella Resistenza italiana. L’intento morale che tale impegno esprime entra in rotta di collisione con la società italiana, ansiosa di lasciarsi alle spalle la guerra con il suo carico di angoscia e di dolore.

Calvino nasce e vive i suoi primi anni di vita in un periodo molto intenso per la storia politica italiana e mondiale. La famiglia Calvino non è proprio favorevole al fascismo, e quando si scatena la guerra civile tra fascisti e partigiani l’8 settembre 1943, Italo si unisce alla Resistenza. Finita la guerra, si getta nella scrittura per definire cosa fosse la guerra partigiana, per riflettere sul senso storico delle azioni compiute da ognuno in quegli anni, e non dimenticare come e cosa era la Resistenza, e cosa essa significasse.

La politica fa da sottofondo alla storia de Il sentiero dei nidi di ragno, e il pensiero politico di Calvino pervade tutto il romanzo. Egli afferma che la divisione tra fascisti e partigiani a volte è dettata dal caso e non da una vera ideologia politica. Lui stesso non è mai stato un comunista convinto, ma sempre un libero pensatore e un fervente critico verso qualsiasi tipo di dogma. Se è entrato a far parte della Resistenza prima e del partito comunista poi, è stato perché in quel momento storico erano il gruppo più organizzato di resistenza attiva alla neonata Repubblica di Salò e all’esercito tedesco. Però Italo non se la sente di sostenere a fondo il partito comunista, perché si rende  conto che la verità  non sta mai da una parte sola. Da questa esperienza storica concreta, reale e determinante deriva la sua prima delusione politica, che si concretizza in una riconsiderazione e rianalisi della storia.

Tuttavia il nostro autore non resta indifferente agli affari pubblici. Per lui la politica va applicata ad un modello di comportamento, ad una forma mentis, nel modo e nell’atteggiamento con cui porsi verso la società.  In questa nuova visione delle cose, l’unico magistero verso cui tendere è quello di poter insegnare un modo di guardare; ciò rappresenterebbe la migliore risposta alla crisi, che non può risolversi attraverso la negazione dell’umano. Rivendica le proprie responsabilità e quelle di ognuno, perché ciascuno opera attivamente, con quello che fa o non fa, nel sistema sociale e politico.

Calvino esce dunque dalla storia politica di una nazione, per andare verso l’infinito del cosmo e assumere un ruolo nel pieno della società che si impone col suo bagaglio di quesiti.

E benché nei suoi romanzi si ha a che fare con dei simboli, con delle macchiette, con delle figure bidimensionali e poco veritiere, queste restano pur sempre il prototipo dell’impegno, della verità, della voglia di capire e conoscere, e si plasmano della forma che offre il loro ambiente. Per questo Calvino non chiede ai suoi personaggi una relazione individuale, ma sempre politica, di partecipazione alla collettività sociale. Il mordente etico e la carica della letteratura di Calvino sta tutto nella scelta di percorrere uno spazio indeterminato di ricerca di senso, che prova ad inglobare in un unico discorso l’universo e la realtà storica.

Egli non si rassegna al disfattismo, perciò reagisce servendosi dell’umorismo come antidoto al pessimismo. Quello che conta è avere voglia di fare la cosa giusta, di descrivere esattamente il mondo e il modo di esserci, così da capirne l’essenziale.

Calvino adotta come etica personale il metodo socratico: la base è nel dubbio, nel ripensamento delle proprie e delle altrui verità e teorie, e quindi nella filosofia stessa. Farsi e porre domande è l’unico modo per indagare e capire la realtà.

La eticità di Calvino si esprime proprio a partire dal rapporto cognitivo che il soggetto intrattiene con l’altro da sé, con la realtà esterna; un atteggiamento etico sempre valido e a cui sarebbe bene attenersi anche oggi, date le innumerevoli vane retoriche offerte dalla società.

Rispetto all’immediato dopoguerra – il periodo in cui una esperienza come quella di Einaudi riuscì ad imporsi come modello del sistema editoriale italiano – negli anni successivi l’opinione pubblica appare come incantata dalle sirene del capitalismo e dal miraggio del benessere alla portata di tutti; e il testimone dell’impegno sociale e dell’utopia egualitaria passa nelle mani di singole personalità che, ispirate da profonde aspirazioni politiche e religiose, riescono a sottrarsi ai modelli culturali dominanti.

Il secolo che ci separa dalla nascita di Calvino appare oltremodo lungo se ci interroghiamo sull’attualità di certe lezioni di vita. La mia stessa mappa intellettuale mi sembra datata e logora se rapportata ai movimenti tellurici del mondo contemporaneo.

Nella complicata situazione politica attuale, dove più che cercare di fare chiarezza sembra che la tendenza sia quella di voler semplificare la situazione per venire incontro alle smanie dell’elettorato, sarebbe interessante ascoltare la voce di Calvino che auspicava, già nel 1981, ordine esattezza e perfezione per l’uomo del 2000. Per un marxista italiano rimasto fedele agli ideali di gioventù come Calvino, la modernizzazione degli anni Ottanta stava portando l’Italia e il mondo occidentale nella direzione sbagliata. Di qui il senso di disfatta e di qui il voler affidare un messaggio agli uomini che verranno – come un secolo prima avevano fatto Giacomo Leopardi e Stendhal cercando la comprensione postuma dei lettori del futuro.

Di fronte alle tensioni e alle sfide dii un mondo che sempre più sceglie aree di applicazione dell’intelligenza artificiale, la ricerca calviniana offre spunti di riflessione ancora attuali: il valore della lettura, l’operazione del leggere, il ruolo del lettore la cui valorizzazione offre spazi di libertà e responsabilità, cura e formazione.

Calvino costituisce un’eccezione anche dal punto di vista dello sguardo di fede sulla realtà. Egli, rispetto al contesto italiano del suo tempo, ricevette una formazione razionale, agnostica, anticlericale. Tuttavia, nei suoi scritti non si percepisce il livore della condanna feroce né lo sdegno o la disistima per chi si dichiara credente. Ne La giornata di uno scrutatore <<anche l’ultima città dell’imperfezione ha la sua ora perfetta, l’ora, l’attimo, in cui in ogni città c’è la Città>>. Il luogo della sofferenza diviene la Città, per noi cristiani la Civitas Dei di Agostino.

Risulta chiaro in Calvino che la parola appropriata è quella che contribuisce ad esaltare la dignità del singolo essere umano, che sa costruire attorno a questo tempo dell’essere quel giardino originario che credevamo di aver perduto per sempre. Il mondo, che ha elevato a potenza la comunicazione mediatica, e ansioso attende l’avvento dell’intelligenza artificiale, ancora una volta non potrà fare a meno dell’agire profetico degli esseri umani e delle loro parole di verità.

Persino il tempo, grande traditore dell’uomo, si sente tradito dall’uomo. Non solo le catastrofi, non solo il male gratuito ma anche l’aspergere del sentimento nulla, della insistenza sulla vacuità, finalizzata alla perdita di senso della parola in sé e per sé. In questo momento storico solo il nulla assume peso tra gli uomini, con la sua cifra letale, attraverso la sua indifferente presenza che non lascia respiro. Anzi, avalla comportamenti penosi, ne promuove di asfittici e causa soffocanti e modulati tirannici momenti asmatici

Abbiamo molto da imparare da Calvino. E qui appare obbligatoria una citazione, alla fine de Le città invisibili.

<<L’inferno del viventi non è qualcosa che sarà; se ce n’è uno, è quello che è già qui, l’inferno che abitiamo tutti i giorni, che formiamo stando insieme. Due modi ci sono per non soffrirne. Il primo riesce facile a molti: accettare l’inferno e diventarne parte fino al punto di non vederlo più. Il secondo è rischioso ed esige attenzione e approfondimento continui: cercare e saper riconoscere chi e che cosa, in mezzo all’inferno, non è inferno, e farlo durare, e fargli spazio>>.

Forse percepire il modo di vivere come continua indagine sui processi dell’essere e dell’esserci, dell’avere e del non avere, del perdere e del vincere, consente di riassumere dove il sentiero intrapreso si biforca, dove le vie potranno reincontrarsi, dove verrà la morte e non avrà i nostri occhi pieni di nostalgia e di malinconia.

Antonia Flaminia Chiari

Centro Studi Leone XIII



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