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27/01/2022
Giorno della Memoria |
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di Maria Belsanti |
Premessa. Gli articoli 1 e 2 della Legge 20 Luglio 2000, n. 211, spiegano finalità e celebrazioni del Giorno della Memoria in Italia:
“La Repubblica Italiana riconosce il giorno 27 gennaio, data dell'abbattimento dei cancelli di Auschwitz, "Giorno della Memoria", al fine di ricordare la Shoah (sterminio del popolo ebraico), le leggi razziali, la persecuzione italiana dei cittadini ebrei, gli italiani che hanno subìto la deportazione, la prigionia, la morte, nonché coloro che, anche in campi e schieramenti diversi, si sono opposti al progetto di sterminio, ed a rischio della propria vita hanno salvato altre vite e protetto i perseguitati. In occasione del "Giorno della Memoria" di cui all'articolo 1, sono organizzati cerimonie, iniziative, incontri e momenti comuni di narrazione dei fatti e di riflessione, in modo particolare nelle scuole di ogni ordine e grado, su quanto è accaduto al popolo ebraico e ai deportati militari e politici italiani nei campi nazisti in modo da conservare nel futuro dell'Italia la memoria di un tragico ed oscuro periodo della storia nel nostro Paese e in Europa, e affinché simili eventi non possano mai più accadere.”
1. Tra il 1939 e il 1945 – Seconda Guerra Mondiale – si contano circa 60 milioni di morti, quanti sono tutti gli abitanti dell’Italia. E’ come se un popolo come l’Italia venisse di colpo annientato e cancellato, è come se un popolo non avesse più una sua patria, né presente e né futuro ma solo passato. E tutto questo perché le ambizioni di uomini senza scrupoli, alla guida di Stati e di Governi, per brama di potere e sete di conquista, hanno avuto il sopravvento sulla vita e sulla morte di altre persone, decidendone le sorti. Nulla contano identità, singolarità, appartenenza, libertà, speranza, fiducia, progresso del singolo e di ogni singola persona, e nulla contano idea di gruppo, di popolo, di stato o di nazione o di comunità, di territorio, di ethos secondo libere scelte adottate liberamente da leggi positive. Solo desiderio di potere senza regole e senza freni che annienta costumi e comportamenti, morale ed etica. Per un fazzoletto di terra. La Seconda Guerra Mondiale - praticamente un prolungamento della Prima Guerra Mondiale perché non erano stati risolti i problemi fondamentali in origine, non per ragioni territoriali ma per assenza di ragioni umane – era cominciata proprio così, era cominciata con le dittature in Europa. In particolare in Germania dove nel 1933 era salito al potere Adolf Hitler, un uomo violento, che aveva creato dal nulla – o meglio, sulle miserie del popolo tedesco ridotto alla fame da inetti governi della Repubblica di Weimar – un potente partito, il partito nazista. Aveva giurato fedeltà alla Costituzione tedesca, ma subito, qualche settimana dopo, nel corso di un incontro segreto con i vertici militari, così si espresse:
“Democrazia e pacifismo sono impossibili. Prima di tutto bisogna estirpare il marxismo [...]. Per raggiungere questo obiettivo aspiro al potere politico totale [...]. Il fine di ampliare lo spazio vitale del popolo tedesco sarà raggiunto anche a mano armata. La meta sarà probabilmente l’Est. [...] Bisogna espellere senza riguardo alcuni milioni di persone. [...] Con il mio movimento ho costituito già adesso un corpo estraneo allo Stato democratico, capace di edificare il nuovo Stato”. I vertici militari, che avevano anch’essi giurato sulla Costituzione, avrebbero dovuto denunciare immediatamente, nelle mani del presidente della Repubblica, il progetto politico di Hitler. Non lo hanno fatto, e si sono resi complici, con il loro silenzio, delle tragedie che si imposero non solo al popolo tedesco, ma anche al popolo europeo ed anche oltre.
Il progetto di politica interna ed estera di Hitler era questo: Pulizia etnica e onore alla nazione germanica. Non solo liberarsi degli Ebrei, che furono la stragrande maggioranza di questa operazione di pulizia etnica, ma anche dissidenti, omosessuali, disabili (6 milioni di Ebrei; 2 milioni di prigionieri Russi; 2 milioni di Polacchi non ebrei; 15.000 omosessuali; 250.000 disabili; 500.000 Rom e Sinti; e milioni di Slavi, dissidenti e indesiderati, tra cui oltre 8.000 Italiani).
Alla soluzione finale, cioè lo sterminio, si arrivò per gradi, colpevolizzando ed emarginando ampi settori sociali, limitando libertà politiche e costituzionali, e poi con le tre leggi di Norimberga del 1935 (la legge per la protezione del sangue e dell’onore tedesco che tra l’altro vietava i matrimoni con gli Ebrei; la legge sulla cittadinanza che limitava di fatto i diritti di Ebrei, Rom e Sinti; la legge sulla bandiera del Reich).
Il 27 Gennaio del 1945 l’esercito russo in avanzata arrivò in Polonia e qui si trovò di fronte il campo di concentramento di Auschwitz. E quando i cancelli sono stati aperti, si sono potuti verificare, non solo attraverso i racconti dei sopravvissuti, ma anche attraverso gli strumenti di tortura, quali metodi criminali venivano usati nei lager nazisti per sterminare centinaia di migliaia, milioni di persone. Altri campi di concentramento erano stati costruiti (Belzec, Sobibor, Majdanek, Dachau, Burchenau) - se ne contano 34 in tutto - tra la Germania e la Polonia, con lo scopo di annientare oppositori politici, prigionieri ed etnie. Vengono tutti ricordati come Shoah, sterminio del popolo ebraico, il popolo che più di tutti gli altri ha subìto la violenza di un regime contrario ai principi fondamentali della persona umana, libertà e dignità.
2. Edith Stein (1891/1942), è una filosofa ebrea, in origine atea, morta ad Auschwitz. Si iscrive al corso di laurea in Filosofia, frequenta le lezioni di Edmund Husserl, laurea maxima cum laude con una tesi sull’empatia e, in piena Prima guerra mondiale, chiede di essere mandata come volontaria nei fronti di combattimento per assistere i soldati. Dopo la guerra, diviene in università assistente di Husserl che dopo qualche anno lascia per dedicarsi all’insegnamento e poter avere tempo di dedicarsi ad un lavoro tutto suo. E prosegue le sue ricerche sull’empatia che sviluppa sul piano teorico (l’empatia è voler cogliere le espressioni emotive sul volto dell’altro, portarle intensamente dentro di sé dunque interiorizzarle coscientemente, tornare su quelle espressioni emotive, studiarle come oggetto, renderle manifestazione come rapporto intenzionale. La coscienza è sempre intenzionale, ha sempre un contenuto. E questa coscienza, nella pratica fenomenologica, è rivolta all’altro. La dedizione alle persone, l’aiuto all’altro, è fondamentale, è ciò che noi chiamiamo comunemente come rapporto empatico, come comprensione dell’altro). In tal maniera si misura l’impatto della filosofa col mondo esterno: entrare nel mondo in rapporto empatico col mondo per miglioralo, per cambiarlo, comprendendo il mondo, entrare in rapporto col mondo: vita di comunità col mondo sapendo cogliere le espressioni emotive del mondo. Un giorno vede entrare in una chiesa una donna con i bustoni della spesa che si inginocchia e prega. E’ un gesto di una semplicità disarmante, ma la Stein invece vede in quel volto l’atto rivolto verso l’altro, cioè verso Dio, vede una intenzionalità emotiva che la turba. Quel gesto la porterà verso l’abbandono della fede atea (anche l’ateismo è una fede) e si converte al cattolicesimo. In questa sua nuova dimensione di vita scrive il suo testo fondamentale, “Essere finito ed Essere eterno”, conciliazione intellettuale tra le filosofie di Tommaso d’Aquino e di Edmund Husserl. Si fa suora, Ordine delle carmelitane scalze, insegna, denuncia le persecuzioni di Hitler sugli ebrei già nel 1933, subito dopo l’avvento di Hitler al potere in Germania. Nel 1942 viene letta una lettera dei Vescovi in tutte le chiede dei Paesi Bassi in merito alla violenza dei nazisti contro gli Ebrei, e come risposta Hitler ne ordina l’arresto, anche degli Ebrei convertiti al cristianesimo. Edith Stein con la sorella vengono rinchiuse nel campo di concentramento di Auschwitz, uccise nelle camere a gas e poi cremate. Edith Stein, in religione Teresa Benedetta della Croce, è elevata agli altari da Giovanni Paolo II nel 1988 ed è Patrona d’Europa con Santa Caterina e Santa Brigida. La motivazione: “Teresa Benedetta della Croce ... non solo trascorse la propria esistenza in diversi paesi d'Europa, ma con tutta la sua vita di pensatrice, di mistica, di martire, gettò come un ponte tra le sue radici ebraiche e l'adesione a Cristo, muovendosi con sicuro intuito nel dialogo col pensiero filosofico contemporaneo e, infine, gridando col martirio le ragioni di Dio e dell'uomo nell'immane vergogna della shoah".
3. Hannah Arendt (1906/1975), filosofa, storica, politologa tedesca poi traferitasi a New York, è intellettuale straordinariamente acuta, giornalista e docente universitaria, e da giovanissima età si è occupata di filosofia politica, anche lei perseguitata per le sue origini ebraiche. Studentessa di filosofia è allieva prediletta di Heidegger – c’è anche una relazione intima tenuta segreta tra il maestro e l’allieva –ma con le persecuzioni agli ebrei messe in atto in Germania lascia il suo grande maestro, si trasferisce presso altra università, è allieva del grande filosofo cristiano Jaspers e con lui si laurea brillantemente con una tesi su Sant’Agostino. Le viene negata l’abilitazione all’insegnamento perché ebrea. Lascia la Germania, a Parigi si rende attivissima in aiuto agli esuli ebrei perseguitati fino all’occupazione della Francia da parte delle truppe tedesche. Scappa dalla Francia attraverso il Portogallo ed evita fortunosamente di essere deportata nei campi di sterminio, si trasferisce a New York ed anche qui si attiva a favore degli esuli ebrei, anch’essi rimasti senza patria, cancellati dai registri anagrafici del paese di origine (prenderanno la cittadinanza statunitense solo molti anni dopo). Bibliografia sterminata, quella di Hannah Arendt, tra opere scritte ed epistolari. Ancora oggi studiarla è fondamentale per quanti si occupano di cultura nelle società democratiche, di sistemi politici e sociali, di etnie, di identità, di analisi e studio dei totalitarismi come il nazismo, il comunismo, il fascismo (sue le opere di filosofia politica tra le più lette e tradotte in molte lingue, “Le origini del totalitarismo” e “La banalità del male”). Anche per noi che qui oggi a Forenza parliamo delle persecuzioni ad Ebrei, Zingari, Sinti, il pensiero della Arendt conduce alla riflessione sui sistemi politici e sul come evitare le tragedie di guerre e di deportazioni. Ed è proprio dare valore alle identità personali e di popolo che si costruiscono le ragioni del vivere civile, del rispetto e della tolleranza tra le posizioni culturali e politiche diverse. Anzi le diversità di pensiero sono il sale della crescita e dello sviluppo, o meglio sono le condizioni dello sviluppo. Più che di democrazia parlamentare, Hannah predilige la democrazia diretta, come la democrazia ateniese, non mediata, ma direttamente e personalmente sviluppata, presentemente sviluppata per presenza di rapporti empatici che in effetti sono possibili solo in presenza. Anche per queste ragioni noi docenti di ogni ordine e grado preferiamo l’insegnamento in presenza (per una sciocchezza linguistica questa pratica viene chiamata Dad, didattica a distanza, come se nelle nostre scuole e nelle università l’elemento centrale sia la didattica non anche, con essa, anzi principalmente, la formazione, l’istruzione, l’educazione, l’orientamento). Non c’è male radicale nel mondo, il male è tale per assenza di radici e di memoria, per assenza di dialogo. Questa l’idea di fondo che ne vien fuori dai resoconti di Hannah, nel 1963, a Gerusalemme, nel corso del processo ad Adolf Eichmann, considerato tra gli ideatori ed organizzatori dei ghetti e dei lager tedeschi e polacchi. L’assenza di dialogo, di radici, di memoria, di identità produce uomini come agenti del male, ed invece molto semplicemente quel male molto banalmente è possibile evitare. La terapia, ieri come oggi: radici, passato, memoria, identità. Eichmann è stato tra gli ideatori della shoah. Dopo un processo di poco meno di un anno, a Gerusalemme dove era stato tradotto, dall’Argentina, da agenti dei servizi segreti dello Stato di Israele, Adolf Heichmann muore per impiccagione, con l’accusa e la sentenza di morte, di essere stato artefice dello sterminio degli Ebrei (si era difeso più o meno così: ho fatto solo il mio dovere di soldato).
4. Simone Weil (1909-1943) è la terza delle tre donne filosofe che avvicino in questa breve riflessione. Ma di quest’ultima, Simone Weil, solo qualche accenno per brevità di tempo e portarmi verso la conclusione. Una vita brevissima, solo 34 anni, ma intensa, vissuta tra la Francia, la Germania, la Spagna, gli Stati Uniti, l’Italia e l’Inghilterra. Sembrerebbe una diplomatica in quanto a paesi dove è vissuta, ma in realtà è filosofa (docente di filosofia), intellettuale (si è occupata del malessere nel mondo, della condizione delle donne, della condizione esistenziale), operaia (ha lavorato nelle fabbriche e in una fattoria assunta come contadina) e mistica (una sua visita presso la Porziuncola di Assisi la avvicina sorprendentemente a San Francesco, a Cristo e a Dio sospesa tra l’entrare dentro la Chiesa o sostarne all’ingresso in attesa della chiamata). La sue radici, di origini ebree, condizionano in parte la sua vita, di esclusa, appunto per le sue origini ebree, e le fanno desiderare di appartenere a chi è più in basso nelle categorie sociali e si porta a combattere con i disoccupati, gli emarginati, gli esclusi, i perseguitati politici e razziali. Sentite cose scrive a De Gaulle chiedendogli di mandare al fronte contro le truppe tedesche un corpo di infermiere:
“Soltanto Hitler ha finora colpito l'immaginazione delle masse. Ora bisognerebbe colpire più forte di lui. Questo corpo femminile costituirebbe senza dubbio un mezzo in grado di riuscirci. [...] Questo corpo da una parte e le SS dall'altra creerebbero con la loro contrapposizione un'immagine da preferire a qualsiasi slogan. Sarebbe la rappresentazione più clamorosa possibile delle due direzioni tra le quali l'umanità oggi deve scegliere, se cioè stare da una parte o dall’altra”. E sui politici scrive: “Il dovere di coloro che si pongono al servizio della volontà generale è rimanere in certo qual modo anonimi, pronti a mescolarsi in qualsiasi momento con l'umanità comune”. Ci sono dei doveri per ciascuno di noi, che sono doveri imposti verso l’essere che ci è davanti. Anche lei trova nell’empatia il metodo di fare esperienza dell’altro. Poi aggiunge: ”Bisogna riconoscersi in dovere verso ciascun individuo, in dovere verso ogni creatura umana”.
Il 1900 è stato un secolo tremendo tra due guerre mondiali, il totalitarismo, un pianeta in profonda trasformazione. Ma il Novecento ha anche lasciato a noi testimonianze importanti quali modello di vita per oggi e per il futuro. Tre donne – Hannah Arendt, Edith Stein, Simon Weil – indicano una strada possibile quale alternativa ai mali del mondo. Ma soprattutto, lasciano a noi un grande messaggio a cui io personalmente mi sento molto attratta: l’identità. Ogni persona, ogni gruppo sociale, ogni popolo dovrà cercare e riscoprire la propria identità, l’appartenenza, l’etnia, la provenienza e vivere queste condizioni nella contemporaneità sviluppandole. Radici, legami, relazioni umane, creatività e passione civile, intrecci sociali. Torniamo alle radici, alla nostra dimensione sociale, umana, storica, esistenziale; facciamo ricerca sulla memoria storica, entriamo nei contesti locali e territoriali e regionali e ritroviamo le ragioni per stare insieme e per vivere insieme in un Pianeta da salvaguardare. Convinciamoci che tutto questo è possibile. Dobbiamo crederci. Non abbiamo altre alternative.
Maria Belsanti, 27 Gennaio 2022
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