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05/09/2021

Presentazione del libro di Chiara Ponte: CRONACA DI UN BORGO E DELLE SUE DONNE
LA FORZA DI CHI RESTA, LA FORZA DEL DETTAGLIO,
LA FORZA DELLE DONNE

 

La lettura del libro di Chiara Ponte ha stimolato il mio sguardo e ha quasi direi -obbligato- lo sviluppo prospettico di alcune questioni sorte spontaneamente nel mio animo di lettrice a dimostrazione ancora una volta, se ce ne fosse bisogno, che un libro è sempre un’opera di inestimabile valore che punta ad una concomitante crescita del lettore, dello stesso autore e -come nel caso di opere radicate nella storia e nella cultura locale- della stessa “comunità-madre” in cui questo libro nasce e viene accolto.

Glisso volutamente sull’indubbio valore storico del romanzo che è un autentico servizio reso in onore all’accrescimento del cosiddetto “microclima storico locale” (così come mi piacerebbe definirlo) e punto diritta alle prospettive di cui parlavo sopra e che mi hanno per così dire “solleticato”,  prospettive di mente, di cuore e anche di stile, tutte coniugate ad un solo modo: il modo, la modalità femminile.

1) La prima prospettiva: questo libro è frutto di chi resta. O meglio, di una donna che ha deciso di restare.

Chiara Ponte avrebbe potuto, come tanti giovani della nostra regione, andarsene da qui ed emigrare in cerca di altre possibilità, di altri giri culturali e posso dirlo? di altre vetrine. Certamente lo avrebbe fatto per ragioni necessarie e non biasimabili. Ma, come un buon numero di persone, sebbene purtroppo minoranza, ha deciso di restare. E se è vero (come da sempre sostengo) che ci vuole tanto coraggio per andarsene, è altrettanto vero che il coraggio maggiore - in un tempo complesso come il nostro, così ricco di sfide e di  “tentazioni lavorative”, di offerte di vita migliore, di luoghi più alti qualitativamente e competitivamente parlando- risiede forse proprio nell’atto di rimanere, di restare.
Sì, ci vuole coraggio. Amore, certo. Ma anche coraggio.

E coraggio significa inventiva.
Chiara allora indossa gli abiti d’epoca della Regina Giovanna D’Angiò e assieme ad altre ragazze, da oltre dieci anni trova il modo di fare da “guida turistica teatralizzata” nel suo borgo, Muro Lucano, cittadina che – il suo libro ce lo testimonia con ricchezza- ha veramente molto da raccontare. E fa bene: ha idee frutto di spontaneità, creatività e passione che forse pochi penserebbero di avere e quindi ai miei occhi, come credo anche agli occhi un po' di tutti, appare come una donna e una storica veramente originale. La stessa originalità che la riporta – e che dovrebbe riportare ognuno di noi- ad un autentico studio delle nostre origini perché, scusate il bisticcio di parole, originalità è anzitutto andare alle origini per referenziarsi, da lì, come persone nuove, creando nuove strade e nuovi riferimenti esistenziali, culturali e creativi perfino in un Sud apparentemente privo di strade. Ma appunto, è questo il nesso principale, dobbiamo essere consapevoli che senza il passato come radice, non possiamo pretendere di sviluppare idee radicalmente nuove, né nel nostro territorio né altrove. E’ proprio quando siamo forti di una storia - e di una nostra storia da raccontare, una storia che abbia consistenza, conoscenza, spessore, senso di appropriazione personale - che possiamo essere e diventare voce autorevole, voce che fa eco, voce da ascoltare: senza ragion d’essere nel passato, insomma, non possiamo essere né presenza -dunque Presente- né tantomeno inventarci o reinventarci un Futuro. Siamo tutti certi che chi parte dalla sua terra d’origine non dimentica né passato e né radici, ma è verità indiscussa il fatto che chi è altrove non possa custodire perfettamente ed in maniera compiuta la propria “genealogia storica locale” e questo proprio perché fisicamente non è più qui.

Dunque a chi resta l’arduo compito. Chi resta quindi davvero si auto elegge - con carichi enormi di responsabilità - a difensore dei valori, delle tradizioni, delle fonti e della cultura locale e direi, come nel caso di Chiara, ha anche il coraggio di reinventare e rispolverare questi valori in modo tale da renderli attrattiva soprattutto per le giovani generazioni, creando strumenti nuovi per l’assimilazione e la lettura.

Atto eroico del rimanere, dicevo: un rimanere che non è solo un rimanere fisico, attenzione, ma anche appunto un rimanere intellettivo e mentale, a testimonianza che un Sud ancora c’è, esiste e si nasconde - spesso preziosissimo - in quei borghi che recentemente la televisione e i nuovi media hanno scoperto, lanciando così nell’etere la moda di un turismo sostenibile e alternativo.  

2) La seconda prospettiva che mi è venuta in mente è naturalmente quella della trasfigurazione femminile della Storia.

Questo libro fa la “storia delle donne” in una Storia che solitamente, si sa, è maschia, maschile, e permettetemi di dirlo, spesso anche spigolosa, quadrata.
Quello che di solito è inedito e in questo caso femminile io lo chiamerei una sorta di terzo occhio sulle scienze storiche.

È arrivato finalmente da tempo il momento, nato anche dalle rivoluzioni culturali degli ultimi decenni a partire dal dopoguerra in poi, di riscrivere una storia a partire dalle donne. E poiché la Storia è una scienza che si anima e si vivifica anche a partire dal dibattito culturale per eccellenza che nasce non per distruggere teorie e fatti ma per donare loro sempre più sfumature e quindi maggiori sfaccettature in seno alla Res Documentaria, noi non dovremmo mai finire di ripetere la necessità di un controbilanciamento della lettura storica -anche locale- della figura femminile e dunque mai finire di dare un giusto merito alla forza delle donne che hanno contribuito, spesso in maniera decisiva, a scrivere le pagine più belle del cammino storico.

Ma, e qui arriva il mio stupore, la prospettiva del romanzo storico di Chiara Ponte va oltre questo solo aspetto della femminilità storico-culturale, un aspetto puramente tecnico che pure è necessario non stancarsi di sottolineare e promuovere: e questo perché, a partire da una lettura semplice e coinvolgente adatta davvero a tutte le età, il libro di Chiara Ponte, prende a guardare intensamente e quindi, mi sia concesso di dirlo, in maniera del tutto femminile non solo la storia ma anche l’aneddotica e la leggenda, la descrizione della quotidianità più semplice ed insignificante, la toponomastica stessa e l’arte di Muro Lucano.

Tutto viene come rivisto e ripassato attraverso l’occhio attento delle donne.
E’ un andare oltre, atto tipicamente femminile, oltre la superfice e l’apparenza delle cose. E così la trasfigurazione al femminile della storia che -attenzione- non è divagazione poetica senza nesso logico (e qui le pagine sono molto attente in questo senso) bensì profondo nesso scientifico con la ricerca, è atto che deve essere preso come necessario aiuto alla versione cosiddetta ufficiale, quasi tutta maschile, della Storia.

Insomma, si tratta di una necessaria verifica storica al femminile: se è vero che alle donne non era dato di capire la logica delle dominazioni, né quella delle conquiste, né quella della guerra, è altrettanto vero e lampante che esse erano in grado di sottolineare bene quanto all’uomo sfuggiva e che pure faceva e fa la storia: il fenomeno della NORMALITA’… sì, la Normalità, questa parolina magica che pure va narrata, va catalogata, va sviscerata … questo concetto insomma che va tenuto in conto e che va scritto e che volenti o nolenti fa la storia. Le piccole cose, i dettagli di cui le donne sono maestre forse proprio perché da tempi immemori costrette a badare al piccolo, all’apparentemente inutile, all’insignificante sono ingranaggio importante, direi imprescindibile della storia. Ed ecco la meraviglia del dettaglio: far notare a tutti che un bambino è la Storia perché è la forza del domani come accade nel racconto di Giovanna d’Angiò che si rammarica di non aver avuto figli suoi e guarda ai nipoti come le più vicine speranze di cambiamento ahimè tradite; lo stesso accade ne “La fanciulla di Numistrum”, dove la protagonista che cura il suo futuro marito con la pochezza del gesto di poca acqua di fonte e qualche fico selvatico, comincia dai dettagli dell’amore e dell’affetta a costruire una “nuova storia” una storia di svolta e rivoluzione a partire non più da un matrimonio imposto bensì scelto per amore, fuori dalla tradizione familiare.

La piccolezza, l’ingenuità, il particolare solo apparente è la materia forse maggiormente rivoluzionaria e fortificante della Res storica: è da qui che conosciamo l’amore per i fatti piccoli, per quella minuzia su cui si regge la Storia e che la storia poi costituisce. E in questa rivoluzione per il particolare pare proprio che la donna rientri a pieno titolo e come protagonista assoluta, compiendo appunto quella rivoluzione storica a partire dal dettaglio e dunque dal basso.

L’inedito, il particolare che parte dallo sguardo delle donne, fortifica la lettura storica e, lungi dall’essere stimato come scarto, svela il seme di una interpretazione attenta, nuova e diversificata che appunto passa necessariamente attraverso le mani, la mente e il cuore della donna, lontana per sua natura nel corso dei secoli (oggi meno) dalle grandi strategie storico-politiche di sesso maschile ma che il Tempo e la Storia, ve lo posso assicurare, tesse ugualmente a partire da quello che possiamo dire di essere il lato non visto e nascosto del telaio.

Ed è con questa forza che già di per sé nutre l’amore per il dettaglio storico, che la donna -quando passa a tessere invece in prima persona la storia facendolo anche indirettamente da protagonista- produce i più grandi miracoli: è il caso appunto di Giovanna d’Angiò, allontanata dal regno non solo per invidia ma anche perché sensibile, colta ed intelligente: anche dalla Torre murese della sua prigionia, vicina alla fine, resta protagonista per amore alla novità delle cose, lasciando le sue memorie. E ancora, Agnese, eroina dei movimenti giacobini a Muro Lucano nel racconto L’albero della libertà, che mossa da nobili ideali e rivestita di quella forza nuova che è la cultura per tutti senza distinzione di censo e di genere agisce pur dietro le quinte ma agisce; e, anche, la moglie del brigante Imbimbolo che con il semplice sostentamento “sottobanco” del marito si espone ai grandi rischi del mantenimento delle frange ribelli in nome della libertà e per questa causa perde la vita … e infine le sorelle del Santo, il grande Gerardo Maiella, che con fervore e ricchezza di particolari riferiscono tutto ciò che ricordano e che può essere utile sulla vita del loro fratello a Padre Caione, incaricato di una sorta di prima inchiesta sull’eroicità del giovane murese innamorato della Madonna, donne umili che forse inconsapevolmente piantano i mattoni principali di una immensa storia di fede tutta lucana da tramandare nel tempo e da consegnare all’universalità della Chiesa. Si tratta di azioni storiche, consapevoli o meno consapevoli, che costruiscono la materia stessa della nostra Res Storica.

E sono solo pochi esempi ma il libro ci appare davvero come una selva fitta di donne che parlano, agiscono, raccontano, propongono … insomma donne che fanno la storia. Ecco allora che la donna smette di essere quel “pezzo di riserva o di ricambio dell’umanità” per diventare -se pure spesso non direttamente- partecipe di vita pubblica, guerra, affari, azione politica o movimento per il corretto ingranaggio della storia: non più solo immobile mattone di continuità biologica attraverso la generazione ed il mantenimento di marito e figli, bensì garanzia di forza per la società nella misura in cui essa cura e mette a valore il dettaglio, un DETTAGLIO MADRE, QUINDI UN DETTAGLIO DONNA, messo nel posto in cui serve: il centro.

Questo perché centro e motore della storia spesso si svelano nel dettaglio ben illuminato e illuminante … e le svolte stesse e i contributi migliori e strategici della storia si trovano nel particolare svelato.
E il particolare è donna, il dettaglio è donna … e allora forse possiamo osare svelare con Chiara Ponte che LA STORIA SPESSO è VOLENTIERI è DONNA.

3) La terza prospettiva che mi è venuta in mente parla di stile di scrittura e, in senso ancora più generale, di stile artistico.

Questo libro è frutto di uno stile “al femminile” che salva la donna, una donna che si è salvata attraverso la creatività.
Da amante della scrittura ed operatrice culturale non potevo non rimarcare quest’ultimo intenso particolare dello stile della scrittura del libro di Chiara Ponte. Si tratta, in maniera inedita, possiamo forse dirlo, della forza dell’arte e della creatività femminile applicata alla Storia, al discorso storico. Di conseguenza posso tranquillamente affermare, dopo aver letto queste pagine, non solo che il meccanismo di una Res Storica per buona parte anche femminile salva e riscatta la donna attraverso l’azione storica, ma anche che la scrittura e l’arte rimangono da sempre strumenti di emancipazione forte e diretta per la donna stessa, oltre che per la costruzione di nuovi punti di vista per la storia : una donna che non ha dovuto attendere il beneplacito delle rivoluzioni civili e delle piazze per essere riconosciuta per quello che è, in uguaglianza e parità di genere, ma che ha chiesto -con una scorciatoia efficace- alla scrittura e alla creatività di anticipare i tempi di questo riscatto andando, insomma, per direttissima, passando prima per l’arte prima ancora che per l’azione storica a riscattarsi e a fare di conseguenza la Storia stessa. E’ in questo senso che ad esempio, una Regina Giovanna è sovrana che muove le fila di una monarchia dalle prospettive moderne, affidando i suoi pensieri alla carta … ed è ancora allo stesso modo che la Duchessa Lucrezia Orsini affida all’autoritratto quell’idea di libertà che oltrepassa, se pur solo con la forza di un desiderio platonico, l’idea maschilistica e patriarcale delle monacazioni forzate, mentre intanto ci regala un immenso capolavoro artistico conservato ancora oggi nella Cattedrale di Muro Lucano.
La capacità direi quasi filmica di Chiara Ponte di gestire i vari contesti storici nei diversi racconti, passando con assoluta spontaneità e chiarezza espressiva da un periodo all’altro della storia di Muro Lucano senza dare l’impressione di incongruenti salti nel vuoto, fa di questi racconti un unicum storico, geografico, artistico, ma soprattutto spirituale, dove naturalmente il filo tessitore è la voce e il cuore della donna: il contrasto scenografico, ambientale, cronachistico e strutturale è davvero solo apparente, quasi un pretesto, chi lo sa, pronto a mettere in atto lo stratagemma del racconto storico per parlare di un concetto assoluto e fortemente icastico: lo sguardo unificante della donna sul mondo e sulla Storia.

Sguardo unificante, ma anche speranzoso, sguardo che va sempre oltre le solitudini, puntuale oltre le sofferenze e il sopruso, quotidianamente rigenerante, limpido, accattivante, sincero, sempre inedito e, lo abbiamo detto, pronto a rivelare il dettaglio delle cose. Uno sguardo forte (perché lo sguardo di donna è forza su tutto ciò che si posa) che è sempre artistico per sua stessa natura e che trova nell’arte riscatto e ristoro prima ancora che nella stessa storia, nell’azione diretta o meno diretta che la donna può avere su di essa. Infine, io direi uno sguardo, che è quasi pantocratico.

La donna, che è madre, ventre creatore, terra unificante, è l’innegabile e spesso misconosciuta azione istitutrice e costituente delle cose, presenza vivificante qualunque cosa si faccia e ovunque l’esistenza si trovi.

La mano femminile via via sempre meno silenziosa che regge la storia è la mano che suggella la forza immane delle piccole cose, da sempre invisibili ma imprescindibili, vitali ed ossigenanti motori e ingranaggi della Storia.

Muro Lucano è un piccolo centro del nostro Sud, è vero, ma non si può negare che la Storia sia passata intensamente anche da lì come da tutti i piccoli centri della nostra Italia, perché la Storia passa sempre dappertutto, senza erigere luoghi particolarmente privilegiati: basta avere occhi attenti ai dettagli e direi, a questo punto, occhi molto ma molto femminili, per riconoscerla e ricostruirla per bene.

Occhi come quelli delle protagoniste di queste Cronache, occhi come quelli di Chiara Ponte che hanno saputo intelligere, ossia guardare nel profondo la forza del particolare: occhi, quelli delle donne nella Storia, che sanno osservare ogni singolo protagonista e tutta la gamma delle verità della Storia, occhi che dunque fanno la Storia completamente e senza forzature o arbitrarietà, ma con la convinzione che alla Verità manca sempre qualcosa, con la convinzione, anzi, che tocca sempre riparlarne e riguardarne le sfumature … ed è per questo che la forza delle donne darà sempre un contributo paritetico, un contributo forse ancora inascoltato, un contributo atto a capire che tutto è storia e che noi tutti siamo storia, volenti o nolenti, già “participi partecipi” -oggi- di un ieri che è passato e di un domani che verrà, attraverso un nuovo colore, una nuova responsabilità, una contemplazione aggiunta, un risveglio, uno stupore per il piccolo così come per il grande, un amore per il ricordo e per la conservazione, una speranza, l’azione storica ed interpretativa stessa della Storia che va oltre la distinzione e l’ancora presente discriminazione di genere e che per questo sarà veramente oggettiva, trasversale e universale.

Imparando dalle donne che essendo madri non hanno mai fatto distinzioni e tutto hanno preso per oggettivo, importante, salvifico.

 

Angela De Nicola


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