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08/03/2021
8 Marzo. Donna è vita |
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di Nina Chiari |
Nella storia, salvo rare e antiche eccezioni, la donna ha sempre avuto nella società un ruolo secondario e subordinato all’uomo. Lo slancio delle donne per raggiungere giustamente l’uguaglianza non si è fermato a quel traguardo, ma è andato oltre. L’uomo non può avere la gravidanza e allora rumorosi gruppi femministi hanno preteso e pretendono di liberare le donne anche dalla gravidanza, fino al punto di affermare il "diritto" di distruggere il figlio che cresce nel seno materno. Questa è una uguaglianza manifestamente grossolana. E un tale concetto di libertà contrasta con la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo le cui parole iniziali dicono che il fondamento della libertà consiste nel laico riconoscimento della dignità inerente a ogni membro della famiglia umana. Questo, certo, significa che la libertà fa parte del contenuto della dignità umana, ma il fatto che essa sia affermata per tutti gli esseri umani implica che la dignità di tutti è posta a fondamento della libertà individuale. Ciò significa che nel momento in cui ciascuno prende una decisione deve tenere conto della dignità altrui, altrimenti la sua non è libertà, ma sopraffazione. Probabilmente la secolare secondarietà delle donne rispetto agli uomini è dovuta alla maggior forza fisica di questi ultimi. Però, la forza che custodisce la società non è soltanto quella fisica; è soprattutto quella morale, culturale e spirituale. E qui viene in gioco il legame speciale tra la donna e la vita umana. C’è un fatto permanente e incontestabile, di ordine statistico, che prova l’esistenza di questo legame: le donne che non vogliono la gravidanza e che abortiscono sono una ristretta minoranza rispetto a quelle che partoriscono e che comunque desiderano generare figli. E ci sono altri elementi che dimostrano la straordinaria alleanza tra la donna e la vita umana. La gravidanza comporta sempre una grande trasformazione del corpo femminile, qualche rischio sanitario, il cambiamento di abitudini e programmi, il superamento dei notevoli dolori fisici del parto. Quanti gli uomini che sono pronti ad affrontare difficoltà simili per raggiungere uno scopo anche molto importante? Questo significa che partorire un figlio è un ideale altissimo tipico delle donne. Vi è poi "dualità nell’unità": il figlio comincia a esistere e si sviluppa per molti mesi dentro il corpo materno. Un abbraccio di una intensità irripetibile quanto a intimità e durata e che riporta alla relazione di cura dell’altro: si potrebbe dire che il "genio femminile", ovvero una speciale vocazione alla relazione, trova la sorgente in quel modello primordiale di rapporto con l’altro che si stabilisce con la naturale ospitalità del figlio sotto il cuore della mamma. Si può pensare che l’amore è il timbro impresso sull’inizio della vita umana.
Va messo finalmente in crisi quel linguaggio performativo che ha visto mutare di segno l’orizzonte materno: il bambino è diventato feto, la donna incinta un sistema uterino di aprovvigionamento, l’utero in affitto trasformato nella pi garbata maternità surrogata. Butler sosteneva che la donna va definita come <<un fantasma dietro una voce completamente priva di suono>>, e l’eventuale presenza di un tu o di un noi semplici fenomeni di un discorso senza voce. Dunque il corpo si separa dalla mente in un modello culturale che ha sfinito il significato della soggettività femminile. L’utero in affitto rappresenta la punta estrema della strumentalizzazione delle donne in difficoltà, ma anche la figura sconsolante del nichilismo postmoderno he ci avvolge.
E’ giunto il momento di ridire come la sfera del sensibile possa e debba restituirci la dimensione dell’affiorare della carne nel pensiero e nell’esperienza della donna in gravidanza. Che, nel linguaggio comune, e in stato interessante, nel senso proprio del termine, stato cioè di inter-esse, di vita relazionale, quella che attraverso il linguaggio del corpo – e non dell’utero – esprime la complicità segreta di due esistenze che reciprocamente si incontrano: un bambino e la sua mamma.
Infine: senza le donne la società non potrebbe sussistere. E la prospettiva di un mondo migliore sperato per i figli è affidata ai genitori ma soprattutto alle madri. Il cammino di libertà della donna non si conclude, dunque, sul pur cruciale traguardo dell’uguaglianza, ma su quello che fa intravedere un quid pluris della donna a servizio di tutta l’umanità. Possiamo simbolicamente utilizzare l’immagine del dipinto "Quarto potere" (o "Quarto Stato") di Giuseppe Pellizza da Volpedo che mostra una folla di operai, contadini, poveri, in marcia verso il futuro. Sono tutti uomini, ma alla testa c’è una donna che non è sola perché tiene in braccio un figlio piccolissimo. L’immagine definisce bene il servizio che la donna può rendere all’umanità di oggi in cammino verso il nuovo umanesimo: il riconoscimento del figlio come figlio fin dal concepimento, come uno di noi. Una verità semplice fondata sulla scienza e sulla ragione. Il risveglio di una presenza femminile che aiuta a rivolgere - e non a distogliere, sino alla cancellazione - lo sguardo verso il figlio, può aiutare a cogliere la ragione vera e profonda della natalità. Il riconoscimento del più piccolo e povero tra gli esseri umani, titolare di una dignità ugualmente grande rispetto a qualsiasi altro essere umano, restituirebbe verità ai diritti dell’uomo e della donna, oggi deteriorati da un soggettivismo che li rende incerti. Il riconoscimento accompagnato dall’accoglienza e dall’amore illuminerebbe anche i rapporti con qualsiasi altro vivente umano e con il creato.
Nina Chiari
Centro Studi Leone XIII
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