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band lucana "pietranuda" - a cura di angela de nicola


INTERVISTA A MAURO FORTAREZZA
FRONTMAN DEI PIETRANUDA

di Angela De Nicola

 

 

MUSICA SENZA INGANNO:
LA BAND LUCANA DEI “PIETRANUDA


di Angela De Nicola

 

“Viva l’Italia, paese dell’arte, viva i suoi artisti tenuti in disparte” (“Vita d’artista” – R.KUNSTLER)

Anni fa - ero veramente molto giovane – mi capitava spesso di accendere la radio per ascoltare della buona musica. In Italia, anche alla fine degli anni novanta, non ti potevi sbagliare: di musica ben fatta, dentro quei contenitori rettangolari a casse doppie o singole, ne scovavi con una certa facilità. Erano gli anni in cui l’esperienza e il lascito per le ricercatezze del sound inglese proveniente dagli anni ottanta, quello di matrice “industriale” (la musica nata dal computer per intenderci) faceva spazio - e in qualche caso si associava - ad una rinascita per il cantautorato, ad un gusto per la parola e per le sue raffinatezze. Nel 1997/98, Radio2Rai e RadioItalia, nonché svariate radio locali, trasmettevano con una certa frequenza un brano dal titolo: “Piccolino”, seguito poi da un altro singolo che aveva per titolo: “Mi manca l’aria”. Un lucano su frequenze nazionali. I più ferrati certo lo ricorderanno.
Mentre io pensavo chissà chi fosse e dove mai abitasse questo Mauro Fortezza (all’epoca gli tolsero una A per ricavarne il nome d’arte) nessuno mi avrebbe mai convinto, neanche a raccontarmelo o a farmi un disegnino, del fatto che svariati anni dopo, non solo ci saremmo conosciuti personalmente per comuni passioni musicali (avendo anch’io un breve passato da musicista o pseudo tale) ma che, per giunta, lo avrei intervistato all’interno del blog dell’amico Pasquale Tucciariello in occasione del suo ultimo progetto musicale con i “Pietranuda”, formazione nata nel 2014 (vedi file audio multimediale in pagina). Anche il jazz ogni tanto merita di prendersi una pausa. E così oggi decido di mandarlo brevemente in vacanza per parlarvi di un caro amico musicista, di un potentino doc. Della sua vita indissolubilmente legata alla musica, di una passione ultradecennale per le sette note, del suo attuale progetto musicale come leader di una band dall’alto standard sonoro, dei suoi sogni, del suo amore per l’arte a tutto tondo. Associare il nome di Mauro Fortarezza (sì, questa volta con la A) alla musica leggera lucana non è difficile.
Mauro non è certo uno sconosciuto ed anzitutto non lo è per gli “addetti ai lavori” della nostra regione. Dopodichè, diciamolo pure: pochi come lui hanno percorso fino in fondo la strada della composizione, dell’interpretazione, dell’arrangiamento musicale; una strada che lo ha portato ad avere contatti importanti, esperienze preziose, raggiungendo taluni vertici all’interno del panorama musicale italiano, come ad esempio la collaborazione con Marco Ferradini, i videoclips passati su circuiti televisivi nazionali e un album come “I sogni miei” che con la Warner Chappel Music ha raggiunto il traguardo delle cinquemila copie vendute. La sua esperienza che vanta numerosi live, dalle piazze ai clubs (partendo dalla Milano-bene, passando per Cesenatico, fino ad arrivare in Spagna, Austria, Ungheria e Russia, solo per dire alcuni luoghi) ha certo molto da dire ai giovanissimi che oggi volessero intraprendere lo stesso percorso con i suoi quasi trent’anni di cammino nel mondo della musica. Un mondo che, si sa, dietro l’apparente luccichìo di patine d’argento, nasconde spesso inganni, certo qualche malcelata discriminazione, forse molte - chiamiamole così - clamorose “sviste”. Perché, sarò anche di parte, ma proprio non mi spiego come mai Mauro Fortarezza sia stato in tanti anni frettolosamente catalogato come “non ammesso” all’esame delle Majors, non ammesso all’interno dei Massimi Sistemi, all’interno, insomma, di quel Gotha Musicale che alla fine è molto industria e poco cuore, molto calcolo e poca poesia, pur fondandosi nominalmente su ciò che di poesia si nutre … in altre parole, proprio non mi spiego come mai Mauro Fortarezza non sia stato ancora “notato” dopo tanti anni di esperienza e di serio lavoro con la musica e perché, appunto, dopo tanti tentativi (Sanremo compreso) non ci sia stato ancora il pur necessario “salto”. E a dire il vero - per fortuna direi - insieme a me questa domanda se la pongono in molti.
E il tono diventa un tantino - giusto un tantino – “indignato” (diciamolo pure) se si pensa agli ultimi anni, gli anni dei Talent Shows. Cionondimeno, questa domanda è di un bene assoluto, perché mi fa pensare che fuori dalla “bibbia” di una Maria De Filippi o delle tante giurie televisive da puro “audience”, esiste ancora qualcuno che ragiona, chiedendosi appunto come mai e perché … esiste, cioè, ancora una fetta di pubblico da salvare, un mondo culturale non ancora così appiattito e massificato fino alla disperazione. Non si tratta certo di celebrazione dei “pochi e con la puzza sotto il naso”, né tantomeno di demonizzazione del mezzo televisivo. Però ci vuole coraggio a non ammettere che i Talent Shows, incatenando l’espressione artistica ai meccanismi di un passatempo televisivo come tanti, abbiano contribuito a distruggere sia la discografia che il senso critico dell’ascoltatore, riducendo quasi ad un nulla l’essenza di una cosa tanto bella e tanto libera come la musica. Musica che d’altro canto ha certamente bisogno, per massimizzare la forza del suo linguaggio (e qui risiede il paradosso) di raggiungere il massimo numero di persone possibile, di arrivare appunto a molti. Il fenomeno socio-mediatico del Talent Show – apro parentesi - è partito da una radice che in sé sarebbe stata anche buona se solo dietro i propri meccanismi avesse messo in moto l’invito ad uno studio serio della musica da parte delle nuove generazioni, sia in accademie pubbliche che in scuole private, senza porsi come assoluta fabbrica di promesse “ingannate ed ingannarte”… senza insomma trasformarsi nel classico giochino della roulette russa.
La musica è talento, non talent. Capacità innata, ma anche competenza. E poi studio, costanza, carattere, personalità. Questi numeri (ed è opinione di molti ma lasciatemelo ripetere anche in questo spazio) Mauro Fortarezza ed i componenti della sua band ce li hanno tutti. Il nuovo progetto musicale dei Pietranuda (che vede Mauro come frontman a fianco del chitarrista elettrico Saverio Orlando, del bassista Luca Monaco e di Michele Fortunato alla batteria) rappresenta una tappa in più, un passo in avanti, una nuova e bella trasformazione che pur non rinnegando un prolifico passato da solista, da il “la” ad una diversa e nuova avventura, quella della collaborazione artistica, completando con ulteriori esperienze (come ad esempio l’inizio di un cantautorato in lingua inglese) un cammino già di per sè vasto, se non addirittura impeccabile. Nasce una band tutta lucana le cui forti personalità e le cui molteplici esperienze si uniscono e si coniugano felicemente insieme. Una band che si regge in piedi senza bisogno dell’impalcatura farraginosa di un Talent di turno, senza una giuria che l’accompagni, che le faccia da tutor, che la scorti, che la giudichi. Questo perché la musica dei Pietranuda non è inganno. E d’altro canto basterebbe guardare l’immediatezza di una delle recenti clip come “Pietro!” o come “On Air” per averne conferma. Perché oggi – fortunatamente - esistono anche altri mezzi oltre alla televisione, mezzi su cui non è il produttore, bensì il “consumatore” a poter e dover scegliere. Ed è a questi mezzi che la band sta intelligentemente puntando. E i riscontri non mancano, visto il progressivo aumento delle visualizzazioni sui social networks.
Bravi. Bravi questi ragazzi perché scrivono, suonano e si autoproducono. Tutto da soli. Bravi perché li muove la passione, non i mezzucci, non le pubblicità, non gli obblighi, non i contratti, non il “consumato mestiere”. Ed è questo, nient’altro, il segreto della loro freschezza, dell’essere sempre giovani, forse anche più di quei giovani che partono “confezionati da altri” e che per questo, sempre un po’ troppo disorientati e senza basi, rimangono destinati a perdersi per strada. Non credo che Mauro e i Pietranuda correranno mai questo rischio. Come Gassman nel periodo del “teatro per pochi”, la loro voce arriva e forse arriverà a quei pochi che sapranno ascoltare e vagliare, quei pochi che creeranno una sorta di comunità forse appena un po’ più invisibile rispetto a quella del “grande pubblico” ma certamente molto più attenta rispetto a chi, magari distratto, si sintonizzerà su un “X Factor”/ “Amici” di turno. Una comunità d’intesa, che probabilmente si ritroverà ad un concerto dove non solo si ascolterà della musica “fatta bene” ma anche delle parole “dette bene”, pronte a far pensare. Artigiani del suono, amministratori attenti della parola che inizia a viaggiare proprio attraverso “un iniziale passaparola”. Di questo oggi la gente ha bisogno e di proprio di questo ci si accorge se al di là del “piattume” generale, le orecchie riescono a farsi ancora attente attorno a riff ben studiati, ad accenti fortemente personalizzati, a messaggi come questi che partono dal cervello e dal cuore. Ti accorgi così che brani come “Pietro!” non sono marketing, non sono voluti da un calcolo televisivo o di share, ma da una convinzione, da una spiccata interiorità, da sincerità, umiltà ed immediatezza. Ti accorgi che “On Air” è sentimento, sia nella ricerca di un arrangiamento mai banale, sia nel valore aggiunto delle immagini di una clip bellissima, attoriale, fortemente mediatica ed altamente professionale. Ti accorgi di tanto e capisci che è buona musica. Qualcosa che sa parlare la tua lingua interiore. Qualcosa che ti rispecchia veramente. Che dice quello che anche tu volevi dire. Che è tua, che non ti è estranea. La buona musica è di tutti. E tutta la musica è bella quando è fatta bene. Perciò apriamo le orecchie e non accontentiamoci di prodotti forse un po’ troppo preconfezionati, di regimi più o meno imposti. Andiamo ai concerti. Andiamo ad ascoltare questi ragazzi che certamente producono della bella e buona musica, che mandano messaggi, che si danno da fare per essere fuori dalle cerchie consuete del già detto, del già visto e del già sentito. Che quando suonano riescono a guardarti negli occhi. Che ti chiedono finanche cosa te ne pare del loro prodotto.
Che si confrontano col pubblico facendolo sentire parte integrante del loro lavoro, del loro cammino e del loro sogno. Musicisti così stanno diventando sempre più merce rara, attenzione. La colpa è del sistema. Che a ben guardare, anche in questo caso, siamo noi. Perciò, la prossima volta pensiamoci bene prima di guardare acriticamente un Talent. Chiediamoci se è davvero questo il tipo di cultura musicale ed artistica che l’Italia - paese dell’arte per eccellenza - si merita. Non facciamo che i dischi che hanno fatto epoca (o che la faranno) oppure i libri che hanno fatto storia (o che la faranno) vengano tenuti in un rispettoso oscurantismo, in una nicchia inarrivabile ed invisibile. Non facciamoci considerare inadatti. Non facciamoci rubare l’arte. Il patrimonio è nostro. E, d’altro canto, noi stessi lo creiamo, scegliendo libri, films o musica da consumare, da gradire e da far passare. Oggi come non mai, la bella musica deve farsi scovare e venire poi alla luce. E perché “non si torni indietro” come cantano i Pietranuda, bisogna imparare a fare la differenza tra ciò che è arte e ciò che semplicemente non lo è, così come tra ciò che è giusto e ciò che non lo è affatto. Senza mezzi termini. Tocca a noi fare in modo che gli artisti non vengano più tenuti in disparte. Del resto, il guadagno sarebbe anzitutto nostro. Decisamente. In bocca al lupo a voi che suonate. E a noi che ascoltiamo, davvero, buon ascolto.

 

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